Lussemburgo, 22 aprile 2020 - "L'Europa si svegli prima che sia troppo tardi, mostri il suo volto solidale all’Italia e alla Spagna, i Paesi membri piú colpiti dal Coronavirus. Dia prova di non essere solo un patto economico fra Stati ricchi, lo faccia o sará la morte dello stesso ideale comunitario". Risuona tutta la gravitá del momento storico, che stanno attraversando le cancellerie del Vecchio continente, nel monito senza appello del cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Comece, la Commissione degli episcopati dell’Unione europea. Gesuita come papa Francesco, l’arcivescovo del Lussemburgo interpreta le preoccupazioni dei vescovi per la tenuta di un’Europa da tempo scossa dalla tramontana sovranista a cui si è aggiunta in questi mesi la tragica incognita dell’emergenza sanitaria. Una sfida, quest'ultima, anche per il cristianesimo che, una volta uscito dalla crisi, complici le inevitabili messe senza la partecipazione dei fedeli, "sará chiamato a un bagno di realtá per rispecchiarsi ancor piú minoranza nel continente, ma non per questo dovrà abbandonare la scena pubblica. Piuttosto avrà bisogno di maturare un’identità forte, aperta al dialogo e al rispetto verso chi non crede o professa un’altra fede".
Eminenza, come ha vissuto questa Pasqua a dir poco insolita? "Per ogni cristiano è stata una grande sofferenza. Io stesso ho presieduto i riti in una cattedrale deserta e mi è apparso tutto così strano, irreale".
Si poteva fare diversamente? "Niente affatto, i fedeli vanno protetti, in particolare gli anziani, i più esposti al virus. Ricordiamoci che nel Medioevo, ai tempi delle Grandi pestilenze, sono state proprio le processioni a favorire la diffusione dei contagi. I nostri antenati non lo sapevano, pensavano che Dio mandasse sulla Terra l'epidemie per punire i loro peccati. A noi oggi spetta non ripetere gli errori del passato".
Prima o poi anche le messe torneranno ad essere officiate a porte aperte: quando pensa che accadrá? "Data l’eterogeneità dei partecipanti, credo che le chiese non potranno essere tra i primi luoghi di aggregazione a riaprire del tutto. Non devono neanche essere gli ultimi, peró, altrimenti si tratterebbe di una palese violazione della libertá religiosa. Molte persone in queste ore sentono il bisogno del conforto dei sacramenti e della dimensione comunitaria della fede. Per questo i vescovi devono stare attenti, affinché non prevalgano decisioni, da parte delle autoritá civili, viziate da un materialismo liberale volto a privilegiare solo ció che persegua un qualche tornaconto economico".
In concreto, come si potrá garantire la sicurezza dei fedeli a messa? "All’inizio si dovrá favorire una partecipazione limitata alle celebrazioni, le persone terranno le mascherine e saranno sedute fra i banchi a una certa distanza le une dalle altre".
Nel frattempo l’emergenza continua: pensa che l’Unione la stia gestendo al meglio? "Qualche provvedimento è stato preso, ma è ancora troppo poco e si procede lentamente. Gli italiani e gli spagnoli sono cittadini europei, hanno diritto ad essere sostenuti. Non sono un economista e non voglio entrare troppo nel dettaglio di quella che è una scelta della politica, tuttavia credo che la soluzione dei Coronabond possa avere un suo senso. Comprendo in parte i dubbi dei Paesi del Nord Europa, timorosi di dover sostenere il debito anche di uno Stato come l'Italia, che potrebbe essere governato a breve da un esecutivo sovranista, ma questo è il tempo di cedere sovranitá per il bene comune dell’Unione".
L’opposizione diffusa in Europa ai Coronabond è la dimostrazione della mancanza nel Vecchio continente di quelle radici cristiane così care a Giovanni Paolo II? "Il cristianesimo è fratellanza, solidarietá, certo, però bisogna essere realisti: viviamo in una stagione postcristiana che non conosce la sua storia e non ha confidenza con la parola 'radici'. Alle volte noi cattolici facciamo dei discorsi che, se contribuiscono a rafforzare la nostra posizione in pubblico, non vengono compresi dalla gente. Le radici cristiane dell’Europa non esistono piú, mi dispiace. Per capirlo guardiamo solo a come lasciamo morire i profughi nel Mediterraneo o a come li rispediamo senza troppi problemi nei campi di concentramento libici".
Vuol dire che l’Unione si è ormai ridotta a un mero mercato unico? "Cristiani come Schuman e De Gasperi sono partiti da questo aspetto per creare la Comunitá europea. La dimensione economica, nelle loro intenzioni, doveva essere un mezzo e non il fine dell’intero processo unitario. Ciò non va dimenticato in una fase come quella che stiamo vivendo. Anche perché, se Bruxelles non fará leva sui suoi valori fondativi, dalla solidarietà alla condivisione delle sfide, verrà meno l’idea stessa di Europa e con questa anche il mercato unico".
E, se alla fine, l’emergenza sanitaria fosse un segno dei tempi al punto da favorire le sinergie fra i popoli, l’altruismo tra gli uomini? "Vedremo, me lo auguro. Quando ci sarà l'uscita dalle restrizioni, avremo una grande festa un po' ovunque, perché la gente non vede l'ora di riappriopriarsi di ciò a cui ha dovuto rinunciare. Dopo spero davvero che non si torni al sentire precedente. L'economia non potrà più essere incentrata solo sulle dinamiche globali, andranno valorizzate anche le imprese e le agricolture locali. Non solo, mi auguro che comprendiamo finalmente i limiti di un materialismo diffuso in molti stati dell’Unione".
Come si immagina la Chiesa dopo la crisi? "Almeno nell’Europa del Nord la secolarizzazione subirá un’accelerazione. Passeremo definitivamente da un cattolicesimo per abitudine ad un cattolicesimo per convinzione. Saremo un piccolo gregge, più fervente, chiamato a vivere la realtá di oggi con spirito missionario per essere davvero autentici. Altrimenti nessuno più crederà in noi".