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Forse non è un caso che l’Europa scricchioli proprio ai suoi confini. Che Paesi di frontiera, pur in modi diversissimi, si voltino dall’altra parte, o mostrino i muscoli anti Ue. È successo pacificamente a Ovest con la Brexit, mentre ora, a Oriente, sussulti e ribaltoni scuotono Romania e Georgia, sulle rive opposte di un un Mar Nero in cui si specchiano sempre più le cupole dorate del Cremlino. Forse non è un caso che la forza gravitazionale delle grandi potenze attragga i pianeti più vicini a loro e più lontani da Bruxelles. Ma se l’addio di Londra è stata una mutilazione parziale perché il regno di Sua Maestà Carlo è rimasto saldamente e amichevolmente nel campo Occidentale, i rigurgiti di estrema destra e filo russi a Bucarest e il traumatico stop alle trattative per l’ingresso di Tbilisi nella Ue rischiano di cambiare gli equilibri tra i due blocchi proprio nello scenario più delicato: quello europeo. Con Putin che occupa la Crimea e punta Odessa, con la Moldavia nel mirino dell’Armata, una Romania che ondeggia verso lo zar è una spina conficcata a fondo nel fianco della Ue che la accolse nel 2007 con troppa fretta e poca, reciproca preparazione. Quanto alla Georgia, che sta geograficamente (e non solo) all’Europa come il Maghreb alla Svizzera, addolora ma non meraviglia il fatto che i filo-putiniani abbiano improvvisamente sbarrato la strada verso Bruxelles: come la Commissione in visita ieri a Kiev ha consolidato la prospettiva continentale dell’Ucraina, così il voltafaccia georgiano e i rigurgiti rumeni segnalano la controffensiva geopolitica di Mosca.
Il che complica anche la soluzione del conflitto ucraino. Perché al tavolo delle trattative si dovrà parlare soprattutto di quali saranno i confini e la sovranità di Kiev. Ma anche dove e con chi si disegneranno in concreto le frontiere dell’Europa. E dell’ingombrante vicino/nemico che le sta dentro e di fronte.