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Cino Ricci (foto Corelli)
Bologna, 4 settembre 2014 - Ruvido è ruvido, pura razza romagnola. Ma dopo qualche parola recupera subito l’ex skipper della mitica Azzurra, la barca che con le regate di Coppa America trent’anni fa tenne sveglia l’Italia.
Cino Ricci come festeggia i suoi 80 anni? «Non festeggio un tubo. Da piccolo c’era la guerra e queste robe non si facevano. Mi sono abituato così, idem i miei figli».
Perché odiava i velisti? Domanda lecita visto che “Odiavo i velisti” è il titolo del libro scritto con Fabio Pozzo e che racconta la sua vita. «Mai odiato nessuno. L’ha scelto l’editore, per creare contrasto. Mi stavano sulle palle, ovvero antipatici, i velisti che venivano a Cervia dalla città. Io avevo cominciato in barca a vela con i pescatori. Li vedevo come personaggi lontani dal mio mondo. In realtà mi sono fatto tanti amici».
Va ancora in barca a vela? «No, ho chiuso. L’ultima volta sono uscito in mare tre anni fa per caso. In barca ho dato tutto, ma la passione per il mare non passa, come per la caccia, le donne, le carte. La vela ce l’ho dentro. Poi uno dice smetto e fine».
Cosa fa oggi? «Il contadino a San Savino, frazione di Predappio. Coltivo la vigna e produco un Sangiovese che si chiama “Ce ne fosse”».
Un’altra sua passione? «La caccia per vent’anni mi ha rapito. Con cane in montagna o in valle a caccia di anatre anche col mio amico Raul Gardini. Sparava bene».
Cosa le ha lasciato dopo 30 anni l’avventura di Coppa America? «La gente mi riconosce e mi offre ancora il caffè. Azzurra ha reso più facile la seconda parte della mia vita, mi ha dato popolarità e lavoro».
Come nacque Azzurra? «Ero negli Stati Uniti per alcune regate. Gli americani insistevano. Tornai in Italia e mi buttai nel progetto. Conoscevo Umberto Agnelli e gli chiesi di farmi incontrare l’Avvocato. Gianni Agnelli mi ricevette. Non avevo nulla di sicuro in mano. Risposta: ok facciamo la Coppa America. Chiamò Luca di Montezemolo e lo mise al lavoro».
Gianni Agnelli in privato? «Un uomo curioso, ironico anche con se stesso, faceva un sacco di domande. Molto simpatico. Mi lasciò fare di testa mia, altrimenti non saremmo andati avanti. Mi chiamava comandante Vicci, con la erre moscia».
Veniva agli allenamenti? «Gli piaceva stare con l’equipaggio. Forse amava più il mare che la vela. A Porto Cervo saliva in barca e voleva stare al timone, ma se c’era poco vento si annoiava. Allora salutava e si gettava in acqua, poi i suoi uomini lo raccoglievano col motoscafo. Una volta mollò lì un ospite americano il quale si guardò intorno smarrito. Noi come se nulla fosse. Si tolse la giacca e si tuffò pure lui».
Gli piaceva la velocità? «In auto e in barca. Aveva uno sloop di 36 metri, l’Extra beat. A volte mi mandava l’areo privato per raggiungerlo in Spagna. Gli piaceva lanciare la barca a tutta velocità puntando altre navi per schivarle all’ultimo istante. Una volta ci inseguì una motovedetta. Quando i militari lo riconobbero sorrisero e augurarono buone vacanze».
L’Aga Khan, altro membro del Consorzio? «Uno alla mano, con pochi fronzoli. Vestiva in maglietta e girava su una vecchia Volkswagen. Non amava granché la vela ma soprattutto i motoscafi potenti. Andavo da lui a colazione e mi esponeva i progetti della Costa Smeralda. Un principe dai modi semplici».
Raul Gardini? «Un vero amico. Altra storia. Andavamo in mare e tante volte a caccia insieme. Era un romagnolo orgoglioso. E a volte l’orgoglio viene scambiato per superbia. Era cosciente di quanto valeva e lo dimostrava. In Francia è un mito».
Era dipinto come uno spaccone. «No, aveva le sue fisse. Andammo a San Diego a vedere per la prima volta il Moro di Venezia in procinto di partecipare all’America’s cup. Fece rifare la scritta a poppa, la voleva in oro».
Il suicidio? «Non me lo sarei mai aspettato. Nonostante avesse avuto altri momenti di difficoltà era un combattente. Tempo prima mi disse solo: io in galera non ci vado».
Subì pressioni per formare l’equipaggio di Azzurra? «Nessuna, non lo avrei tollerato. Se comando decido io».
Qual è il segreto di un leader? «Fare pochi errori, avere carisma e se sbagli devi riconoscerlo. Allora la squadra ti segue. Comunque devi affascinare e dare sicurezza. All’asilo c’è sempre il bambino che si trascina dietro gli altri. Poi se nella vita ha l’occasione emerge».
Nel libro niente donne. «I romagnoli non parlano mai delle loro. Poi vent’anni fa dissi ironicamente che le donne in barca portano sfortuna. Un disastro. Fui sommerso di attacchi dalle femministe. Da allora tengo la bocca chiusa. Ci sono ottime veliste, brave e determinate».
Rimpianti? «Rifarei tutto nello stesso modo. Ho dato tanto e ho avuto tanto in cambio. Mi ritengo uomo fortunato in questi primi ottanta anni».