Lo sciopero “generale” proclamato da Cgil e Uil suscita legittimi interrogativi. Lo strumento conflittuale è ovviamente implicito nella funzione sindacale anche se il mondo nuovo, generato dal salto tecnologico e dall’abbandono delle vecchie produzioni in serie, induce relazioni tendenzialmente cooperative (se non addirittura partecipative) tra capitale e lavoro. Specie in un tempo segnato da variabili globali che sollecitano ciascuna nazione a competere con tutte le proprie energie.
I lavoratori, non più massificati da prestazioni ripetitive, chiedono attenzioni personalizzate a bisogni e aspirazioni. Desiderano quindi sindacati prossimi nei territori, professionali nei servizi, sobri e concreti nella azione. Lo sciopero è un sacrificio. Ne deve valere la pena per obiettivi verosimili. Quando poi viene convocato per ragioni generali e generiche e perfino divide le confederazioni maggiori, è inevitabile che registri basse adesioni concorrendo a quella crisi della partecipazione democratica che abbiamo constatato nelle urne. Saranno interessanti le percentuali vere sul totale dei dipendenti nei settori interessati. Non quelle della propaganda che per quieto vivere non sono mai state contestate da istituzioni e imprese. Inclusi i servizi di trasporto pubblico per i quali un disegno di legge di governo anni fa e più recentemente lo stesso ex presidente della autorità di controllo, il professor Santoro Passarelli, proposero fossero conosciute in anticipo le adesioni individuali per tutelare con informazioni certe il diritto alla mobilità.
Conoscere per riflettere. E magari sperare che si riapra il dialogo tra i promotori e la Cisl, sindacato che ha sempre difeso orgogliosamente l’autonomia della funzione sindacale da partiti e governi. La rappresentanza evoca per sua natura un atto di fiducia da parte di chi gli si affida, che a sua volta merita ascolto.