Modena, 17 ottobre 2024 – “Quando cucino tutta la mia energia è nella materia e nel fuoco, non fa differenza se a tavola c’è un capo di Stato o uno sconosciuto. I complimenti di due ragazzi di Vignola valgono quanto quelli di Macron e Meloni. Io faccio il cuoco per amore, per passione”. Massimo Bottura è lo chef italiano più famoso nel mondo. Lo conoscono praticamente ovunque. E ovviamente, in epoca social, anche a lui non mancano i detrattori. “Le critiche non mi turbano perché sapere ascoltare è fondamentale, poi io so dove andare e non cambio rotta perché a qualcuno non piace ciò che sto proponendo – spiega –. Per i miei primi tortellini, sei, tutti diversi nel gusto, ci fu chi mi invitò a cambiare mestiere. Sono invece inaccettabili alcune parole rivolte a Charlie”.
E chi sarebbe Charlie?
“È mio figlio Carlo, in casa lo chiamiamo all’inglese un po’ perché mia moglie è americana e poi perché ci fa venire in mente Charlie Brown, l’eroe dei fumetti. Carlo, cioè Charlie, è nato con una sindrome genetica, nel 2000”.
Sta in cucina anche lui?
“È bravissimo a chiudere i tortellini, piega la pasta alla perfezione. Lo ha fatto anche ad Assisi, al G7 dedicato alla sensibilità”.
Posso chiedere come giudica l’atteggiamento dell’italiano medio in rapporto alla disabilità?
“Attraverso gli anni ho visto crescere nel nostro Paese la sensibilità, l’attenzione. Credo che al miglioramento abbia contribuito parlarne di più e molto dobbiamo anche alle straordinarie imprese dei ragazzi e delle ragazze della Paralimpiade. Ma c’è ancora parecchio da fare nei confronti delle disabilità mentali”.
Lei è ottimista o pessimista?
“Sul futuro dell’Italia, intende?”.
Esatto.
“Dobbiamo essere orgogliosi della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre tradizioni. So che suona banale, ma questa deve essere la base di partenza. Dopo di che capisco le incertezze dei giovani. Anche questa si potrebbe superficialmente catalogare come un’ovvietà, ma studiare, e studiare tanto, è fondamentale. Però, non basta. Ai ragazzi e alle ragazze bisogna spiegare che è indispensabile coltivare il dubbio. Bisogna interrogarsi sempre su ciò che vediamo, su ciò che ascoltiamo. E poi dare le risposte attraverso quello che facciamo”.
Scusi, allora è vero che lei più che uno chef è un aspirante guru!
“Ma no, non mi prenda in giro, non mi faccia passare per un trombone. Quando cucino mi pongo delle domande e attendo le risposte. Non importa che vengano da me, dagli ingredienti, dalle temperature e consistenze, dalla musica, da un libro, spesso le risposte sono altre domande e arrivano dall’arte. Comunque ho cominciato osservando mia madre, una donna normalissima”.
E non ha più smesso, fino al successo planetario.
“Vuol sapere una cosa? Il mondo con tutte le sue brutture e sofferenze è comunque bellissimo, eppure io sto bene a Modena. Io risiedo a Modena, investo a Modena, voglio vivere e morire, quando sarà, a Modena”.
Fa molto Enzo Ferrari, se permette.
“Essere accostato al Drake è un onore. È il mio mito. Lo sa che ogni tanto gli rubo addirittura le frasi? ’Gli italiani perdonano tutto, ai ladri, agli assassini, ai sequestratori, a tutti, ma non perdonano il successo’. Non la trova perfetta?”.
Magari vale un po’ anche per Bottura: cosa ha provato quando l’hanno criticata per aver fatto da mangiare ai Grandi della terra, all’ultimo G7?
“Se qualcuno pensa che io, la mia cucina, rappresenti bene l’Italia, per me è un onore, qualunque sia l’identità di chi sta a Palazzo Chigi”.
Posso tornare a Ferrari?
“Ci mancherebbe, sono un fan della Formula Uno”.
Le piace la pizza di Flavio Briatore?
“E io che volevo parlare di Lewis Hamilton”.
Hamilton è pure vegano. Ma la pizza di Flavio?
“Mai mangiata, non posso esprimere un giudizio”.
Ma la mangerà?
“Quando ne avrò l’occasione senz’altro”.
Lei a Maranello si occupa del ristorante Cavallino: come va con John Elkann?
“È un amico vero. Anche se io sono matto per l’Inter”.
Ma a tavola…
“Glielo ho già detto, la mia cucina è uguale per tutti, si fidi”.