Erano l’immagine di un’Italia rassicurante, di un Paese che aveva davvero la forza di scommettere sui buoni sentimenti, di un’idea forte di salvaguardia dell’infanzia. Cristina D’Avena che, a soli tre anni e mezzo, intonava il ‘Valzer del moscerino’, Walter Brugiolo, di due anni più grande, che cantava le gesta nella neve del goffo cosacco Popoff e lei, Barbara Ferigo (4 anni e mezzo da Gorizia), inconsapevole interprete di quei ‘44 gatti’ che sarebbero rimasti nella memoria collettiva forse perché spiegavano che l’unione fa la forza e che nessuno deve restare indietro. Eppoi Topo Gigio (‘cosa mi dici mai...’), il pupazzo creato da Maria Perego che sarebbe approdato in America al mitico ‘Ed Sullivan Show’, Mago Zurlì con la sua improbabile mantella azzurra e i lustrini sui capelli, le palette delle giurie zeppe di bambini sdentati e soprattutto la fatina dal sorriso sincero, Mariele Ventre.
Perché l’idea dello Zecchino d’oro – che quest’anno doveva avere la conduzione di Mara Venier e Carlo Conti e che per la prima volta dalla sua nascita invece non si terrà nelle tradizionali date autunnali ma slitterà, a causa della pandemia, nel maggio 2021 – resta indissolubilmente legato alla corda della nostalgia. A una tv lontana, buonista, pacificatrice, magari in bianco e nero (la prima puntata a colori è del ‘77). La storica rassegna di canzoni per l’infanzia, in onda dal 1961 dall’Antoniano di Bologna, fu ideata in realtà da Tortorella (che all’anagrafe faceva di nome Felice) due anni prima su richiesta del Salone del bambino alla Triennale di Milano, ma ebbe il suo vero lancio grazie alla collaborazione con la Rai e i frati bolognesi. Era stato Umberto Eco, allora funzionario della tv, a proporre poco tempo prima a Cino il programma ‘Zurlì, il mago del giovedì’ e alla fine lui Zurlì restò. Per decenni. Quando Tortorella propose una rassegna di canzoni per l’infanzia ai quattro ‘frati moschettieri’, che dieci anni prima avevano costruito poco fuori dalle mura storiche di Bologna la struttura dell’Antoniano con il forte incoraggiamento dell’allora cardinal Lercaro, non tutti furono d’accordo.
E invece... La carta vincente la scovò per caso padre Berardo Rossi, uno dei fondatori, chiedendo a una ragazza che abitualmente insegnava ai bambini della parrocchia di dargli una mano nell’organizzazione della manifestazione. Lei, Mariele Ventre, aveva 22 anni, si era appena diplomata al Conservatorio Verdi di Milano ed era avviata a una promettente carriera concertistica. Disse sì e l’avventura cominciò. Mariele (a cui il nome Zecchino piaceva perché fa riferimento alla moneta d’oro nel campo dei miracoli del Pinocchio di Collodi) fonda due anni dopo il Piccolo Coro, un’istituzione che guiderà appassionatamente per trent’anni, fino all’ultimo giorno prima di morire, il 16 dicembre 1995.
In suo ricordo sono state intitolate scuole, strade, premi, per lei è stato chiesto un processo di beatificazione, la sua figura è stata protagonista di un film tv, ‘I ragazzi dello Zecchino d’oro’ con Matilda De Angelis. E il Piccolo Coro, che nel frattempo è stato ribattezzato con il suo nome e alla cui guida è subentrata la collaboratrice di sempre Sabrina Simoni, ha tenuto tournée ovunque, perfino in Cina, ha partecipato un paio di volte al festival di Sanremo, ha inciso una valanga di dischi ed è stato protagonista di tante trasmissioni tv non solo natalizie. Ha assunto insomma una posizione centrale nel panorama della musica italiana al punto di ospitare brani di gente come Antonacci, Zero o Dalla. Sono cambiati i conduttori (da Veronica Maya a Antonella Clerici), la società, gli strumenti pedagogici e il modo di fare tv, ma il marchio è rimasto lo stesso. Non tutto, ovviamente, è sempre filato liscio. Ci sono state nei decenni polemiche sul risvolto commerciale della manifestazione, pettegolezzi sull’interessamento di Mediaset, scatenate troupe di ‘Striscia la notizia’ guidate da Valerio Staffelli a caccia di scoop, accuse di fomentare il divismo dei bambini, violente invettive di Tortorella (scomparso tre anni fa) contro il nuovo corso dell’Antoniano. Tutto questo però non ha mai scalfito l’immagine dello Zecchino. Che, per i vecchi frati, non doveva essere mai definito festival ma solo festa. Dei bambini, naturalmente.