Roma, 3 dicembre 2023 – Non solo via Corelli a Milano. Dall’inchiesta di Torino dopo il suicidio di Moussa Balde con l’ipotesi di reato di sequestro di persona e dieci indagati tra agenti e operatori a quella per frode nell’assistenza sanitaria a Bari Palese, sono molte le occasioni in cui la magistratura si è occupata dei Centri di Permanenza e Rimpatrio. Mentre in quello di Ponte Galeria a Roma sono scoppiati scontri che hanno provocato la distruzione degli alloggi e la senatrice Ilaria Cucchi ha presentato un esposto sulle condizioni di vita dei migranti dopo la morte di Wissem Ben Abdel Latif.
I Cpr si chiamano così dal 2017, ma il ruolo che svolgono è lo stesso dei centri di permanenza temporanea e assistenza della legge Turco-Napolitano, mentre la definizione di Centri di Identificazione ed Espulsione arriva con la Bossi-Fini. Possono finirci gli stranieri irregolari che sono considerati un pericolo per l’ordine pubblico così come i richiedenti asilo. La permanenza, spiega il Viminale, è "funzionale alle procedure di identificazione ed espulsione".
QUANTI SONO
Il governo Meloni ha esteso a 18 mesi (6 mesi iniziali, seguiti da proroghe trimestrali), il tempo massimo di permanenza in un centro, in linea con la normativa europea. Attualmente in Italia sono nove i Cpr attivi: Bari, Brindisi, Caltanissetta, Roma, Potenza (a Palazzo San Gervasio), Trapani, Gorizia (a Gradisca d’Isonzo), Nuoro (a Macomer) e Milano. Quello di Torino è chiuso in seguito a danneggiamenti. L’esecutivo ha deciso di ampliare il numero di centri in Italia istituendone almeno uno in ogni regione. La costruzione è affidata al Genio Militare: il ministero della Difesa ha garantito uno stanziamento di 20 milioni di euro. Per ora nella mappa del Viminale ne è presente soltanto uno a Ventimiglia. Per i luoghi si pensa di riutilizzare caserme e altre costruzioni abbandonate. Anche quello che dovrebbe sorgere in Albania dopo l’accordo tra Giorgia Meloni e il primo ministro Edi Rama dovrebbe essere un “modello di Cpr” con giurisdizione italiana al suo interno.
CHI SI TROVA NEI CPR
Il Garante dei detenuti ha scritto nella relazione 2023 al Parlamento che nell’anno precedente i centri hanno visto transitare al loro interno 6.383 tra uomini e donne. Tra questi, quelli effettivamente rimpatriati sono stati 3.154, ovvero il 49,4%. Quelli che ne sono usciti sono stati liberati per il trattenimento non convalidato dall’autorità giudiziaria per il 25,4%; il 13,6% lo ha lasciato per la scadenza dei termini. All’1,91% è stata concessa la protezione internazionale, mentre lo 0,72% se ne è allontanato arbitrariamente. La capienza ufficiale è stata aumentata a 1.395 posti nel 2022.
LA GESTIONE E LE CRITICHE
La gestione dei Cpr è di competenza dei prefetti, che affidano i servizi a soggetti privati attraverso bandi di gara. La polizia presidia l’esterno delle strutture, ma può entrare nelle zone interne su richiesta degli enti gestori e in casi di emergenza. I trattenuti possono rivolgere istanze e reclami al Garante nazionale e a quelli regionali. Da anni i Cpr sono criticati dalle associazioni che si occupano di diritti umani per le condizioni disumane in cui si trovano le persone detenute.
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