Roma, 3 gennaio 2025 – La vita di una 29enne italiana è appesa a un groviglio di interessi diplomatici, i genitori chiedono cautela per la delicatezza del momento, eppure l’italiano medio del ‘chi gliel’ha fatto fare’ si sente in dovere di emettere sentenze e magari dare anche qualche dritta ai servizi segreti con il suo dumbphone (il contrario di intelligente) divenuto ormai protesi del suo arto.
Lei, Cecilia Sala, sdraiata per terra senza un cuscino nella cella delle punizioni del carcere di Evin, Teheran, come ha spiegato con commozione sincopata sua madre, Elisabetta Vernoni. Una che ha capito che non c’è nulla da ’capire’ perché ’capire’ non è un concetto che si addice alle motivazioni del regime teocratico d’Iran, sempre più debole, dopo le perdite inflitte agli Hezbollah, la caduta di al-Assad in Siria e le sconfitte militari subite da Israele, e dunque ancora più pericoloso in questa fase. Non c’è molto da sperare da quel che resta della splendida Persia che, solo qualche anno fa, veniva scrutata con attenzione per il suo Parlamento aperto alle deputate, mentre ora le Mahsa Amini vengono massacrate per aver scostato il velo dai volti. Quel Paese lì, che gli analisti ottimisti vorrebbero sempre in procinto di far prevalere la forza ribelle dei giovani sull’oscurantismo islamico delle guardie della Rivoluzione, la giornalista Cecilia Sala voleva descriverlo (ancora) dopo aver ottenuto un visto-stampa.
Lei là, a rischio, per portare un contributo in più alla conoscenza di noi qua, nel nostro Occidente, che è sì pieno di difetti, ma di sicuro anche di diritti. Cecilia Sala a fare la cronista andando e raccontando, lui/lei (l’italiano o la italiana media) a fare lo spiegone da un caldo divano di comode banalizzazioni. Ad alludere che in fondo quella ’giornalaia’ non è degna di stima, magari perché scrive per un quotidiano dalle idee sgradite, oppure a ricordare un suo passato scritto sui marò, l’India e chi avrebbe dovuto giudicarli.
“Ora si faccia giudicare lei dai suoi amichetti dell’Iran”, si legge in uno dei post pieni di odio. Ci sono poi quelli che la mettono sul piano dello scontro di civiltà de noantri. “Se uno straniero viene qua deve rispettare le mie leggi, se una va in Iran deve rispettare le loro”. Ebbene, è ormai chiaro che la reporter de il Foglio e di Chora media è usata come merce di scambio per l’iraniano dei droni arrestato a Milano su mandato spiccato dagli Usa. Non c’entra nulla la “violazione delle leggi islamiche”, ammesso che Cecilia Sala le abbia violate. Ma il climax delle accuse da banalità del male sta nel ’Chi paga? Non possiamo pagare noi la trattativa’.
Come se compito di una Res Publica democratica non fosse anche quello di liberare una concittadina fatta prigioniera, a maggior ragione se in cella con lei sono finiti anche la libertà di espressione, di stampa, e il senso di giustizia. Roba che non è bene relativizzare anche per il bene di chi sprofonda nelle sue certezze.