Le corti di giustizia hanno espresso un verdetto univoco e Massimo Bossetti sconta una condanna definitiva al carcere a vita come il predatore che nella sera del 26 novembre 2010 ghermì Yara Gambirasio, per poi abbandonarla a una agonia di ore in un campo, fino a morire di ferite, gelo, stenti, spasmi. Ecco le corti televisive riproporre il caso della 13enne di Brembate di Sopra e suscitare domande forse sopite ma non dimenticate. ’Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio’ (punto interrogativo omesso ma intuibile), la docuserie prodotta da Quarantadue, che approda oggi su Netflix, nasce da uno sforzo imponente di Gianluca Neri e della sua squadra, gli stessi di ’SanPa: luci e tenebre di San Patrignano’: oltre 60mila pagine di documenti consultati, migliaia di ore di materiale video visionate. Verità processuale e verità assoluta nel caso Yara coincidono? È l’interrogativo che gli autori, con Neri, Carlo G. Gabardini ed Elena Grillone, lasciano allo spettatore.
La sparizione della promessa della ginnastica ritmica. L’angoscia dei genitori, composti e dignitosi anche quando lanciano il più straziante degli appelli. Il ritrovamento. Il fermo di Bossetti, un artigiano edile che ha moglie e tre figli. La docuserie converge su di lui, detenuto a Bollate. Offre l’immagine di chi è tuttora incredulo. E accusa. "Quando ero in isolamento, mi è venuto a far visita un comandante. Ha fatto portare un foglio bianco, ha sfilato una biro e mi ha detto: ‘Dobbiamo arrivare a un compromesso. Vuole vedere la sua famiglia? Vuole vedere i suoi figli? O vuole stare qui in questo buco? Metta giù quello che le dico: io, Bossetti Massimo, mi trovavo lì...’. Ho preso il foglio e gliel’ho lanciato addosso. Ha detto: ‘Tenetelo chiuso e per due giorni non passate col vitto’". Il 16 giugno 2014, giorno delle manette. I Bossetti sono una famiglia lacerata. Il filo rosso delle indagini si è dipanato attraverso migliaia di Dna raccolti nelle valli bergamasche. Si è scoperto che l’uomo in carcere ha un padre che non è Giovanni Bossetti ma Giuseppe Benedetto Guerinoni, autista di pullman di Gorno, che un tumore si è portato via anni prima. Da una relazione con Ester Arzuffi sono nati Massimo Giuseppe e la gemella Laura Letizia.
Al comando dei carabinieri di Bergamo le ’cimici’ intercettano lo scontro verbale tra Ester e Marita Comi, moglie del fermato. Seguirà una nuova rivelazione: l’altro fratello non è figlio né di Giovanni Bossetti né di Guerinoni. Nella docuserie è un drammatico confronto, a distanza e postumo, tra il figlio ergastolano e la madre, oggi scomparsa e attualizzata con spezzoni di interviste, tetragona nel negare. "Ho chiesto – dice Bossetti – di fare gli esami del Dna, da privato. E davanti a un accertamento fatto da tutti noi familiari, ho scoperto la cruda verità". C’è un’altra verità scientifica davanti alla quale non si arrende: il suo codice genetico, chiaro, accusatore, impresso sugli indumenti di Yara. "Ho sempre chiesto di concedermi la ripetizione di un esame scientifico. Chi è quel pazzo che chiederebbe di poter ripetere una prova scientifica se fosse coinvolto in un omicidio?". È il suo messaggio-appello. Una delle voci del film ne lancia un altro: non dimenticare Yara Gambirasio.