Martedì 16 Luglio 2024
GABRIELE MORONI
Cronaca

Caso Yara, giallo senza fine. La docuserie solleva nuovi dubbi. Bossetti: voglio rifare il test del Dna

Da oggi su Netflix l’inchiesta tv sulla 13enne uccisa realizzata dall’autore del discusso documentario SanPa. Dalla sparizione alla svolta delle tracce sugli slip. Il muratore condannato all’ergastolo parla dal carcere.

Caso Yara, giallo senza fine. La docuserie solleva nuovi dubbi. Bossetti: voglio rifare il test del Dna

Caso Yara, giallo senza fine. La docuserie solleva nuovi dubbi. Bossetti: voglio rifare il test del Dna

Le corti di giustizia hanno espresso un verdetto univoco e Massimo Bossetti sconta una condanna definitiva al carcere a vita come il predatore che nella sera del 26 novembre 2010 ghermì Yara Gambirasio, per poi abbandonarla a una agonia di ore in un campo, fino a morire di ferite, gelo, stenti, spasmi. Ecco le corti televisive riproporre il caso della 13enne di Brembate di Sopra e suscitare domande forse sopite ma non dimenticate. ’Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio’ (punto interrogativo omesso ma intuibile), la docuserie prodotta da Quarantadue, che approda oggi su Netflix, nasce da uno sforzo imponente di Gianluca Neri e della sua squadra, gli stessi di ’SanPa: luci e tenebre di San Patrignano’: oltre 60mila pagine di documenti consultati, migliaia di ore di materiale video visionate. Verità processuale e verità assoluta nel caso Yara coincidono? È l’interrogativo che gli autori, con Neri, Carlo G. Gabardini ed Elena Grillone, lasciano allo spettatore.

La sparizione della promessa della ginnastica ritmica. L’angoscia dei genitori, composti e dignitosi anche quando lanciano il più straziante degli appelli. Il ritrovamento. Il fermo di Bossetti, un artigiano edile che ha moglie e tre figli. La docuserie converge su di lui, detenuto a Bollate. Offre l’immagine di chi è tuttora incredulo. E accusa. "Quando ero in isolamento, mi è venuto a far visita un comandante. Ha fatto portare un foglio bianco, ha sfilato una biro e mi ha detto: ‘Dobbiamo arrivare a un compromesso. Vuole vedere la sua famiglia? Vuole vedere i suoi figli? O vuole stare qui in questo buco? Metta giù quello che le dico: io, Bossetti Massimo, mi trovavo lì...’. Ho preso il foglio e gliel’ho lanciato addosso. Ha detto: ‘Tenetelo chiuso e per due giorni non passate col vitto’". Il 16 giugno 2014, giorno delle manette. I Bossetti sono una famiglia lacerata. Il filo rosso delle indagini si è dipanato attraverso migliaia di Dna raccolti nelle valli bergamasche. Si è scoperto che l’uomo in carcere ha un padre che non è Giovanni Bossetti ma Giuseppe Benedetto Guerinoni, autista di pullman di Gorno, che un tumore si è portato via anni prima. Da una relazione con Ester Arzuffi sono nati Massimo Giuseppe e la gemella Laura Letizia.

Al comando dei carabinieri di Bergamo le ’cimici’ intercettano lo scontro verbale tra Ester e Marita Comi, moglie del fermato. Seguirà una nuova rivelazione: l’altro fratello non è figlio né di Giovanni Bossetti né di Guerinoni. Nella docuserie è un drammatico confronto, a distanza e postumo, tra il figlio ergastolano e la madre, oggi scomparsa e attualizzata con spezzoni di interviste, tetragona nel negare. "Ho chiesto – dice Bossetti – di fare gli esami del Dna, da privato. E davanti a un accertamento fatto da tutti noi familiari, ho scoperto la cruda verità". C’è un’altra verità scientifica davanti alla quale non si arrende: il suo codice genetico, chiaro, accusatore, impresso sugli indumenti di Yara. "Ho sempre chiesto di concedermi la ripetizione di un esame scientifico. Chi è quel pazzo che chiederebbe di poter ripetere una prova scientifica se fosse coinvolto in un omicidio?". È il suo messaggio-appello. Una delle voci del film ne lancia un altro: non dimenticare Yara Gambirasio.