Giovedì 30 Gennaio 2025
RAFFAELE MARMO
Cronaca

Caso Almasri, il costituzionalista Cassese: “C’è l’obbligo dell’azione penale. Ma il pm deve fare una valutazione”

L’ex ministro: il problema dell’indagine è anche la coincidenza dei tempi con le azioni del Governo. “I magistrati militanti stanno facendo precipitare l’ordine giudiziario su una strada pericolosa”

Roma, 30 gennaio 2025 – Professore, può considerarsi un atto dovuto l’iscrizione nel registro degli indagati della presidente del Consiglio e dei ministri di fronte a un esposto di un cittadino? “L’articolo 112 della Costituzione dispone che il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale. L’articolo 335 del Codice di procedura penale prevede l’iscrizione della notizia di reato e l’avviso di garanzia all’indagato se va compiuta un’attività alla quale può partecipare anche la persona alla quale il reato è attribuito. Come ha stabilito recentemente l’Anac, questa attività non può da sola determinare effetti pregiudizievoli di natura civile e amministrativa. Queste le prescrizioni delle norme – avvisa Sabino Cassese, uno dei più autorevoli, se non il più autorevole, dei giuristi italiani –. Nella realtà, tuttavia, bisogna considerare i seguenti aspetti”.

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Il generale libico Njeem Osama Almasri Habish atterra a Tripoli il 21 gennaio
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Quali altri aspetti vanno tenuti in considerazione?

“Innanzitutto, un’astratta e generale obbligatorietà dell’azione penale non esiste perché comunque il pubblico ministero è costretto a svolgere una seppur minima attività selettiva; altrimenti, alla sola apertura dei giornali, dovrebbe, ogni giorno, provvedere alle relative iscrizioni di notizie di reato. Il secondo problema riguarda la pubblicità che viene data alle comunicazioni e le implicazioni che questo comporta, in termini di giudizio collettivo (ha persino un nome: la gogna mediatica). Il terzo e più grave problema, al quale si è cercato di porre rimedio, riguarda la durata delle procedure, per cui le persone indagate vengono tenute sulla corda, con tutte le implicazioni di carattere mediatico che ne conseguono, per lungo tempo”.

Si pone anche un problema, nel caso di inchieste legate alla politica, di coincidenza di tempi. O, detto in altro modo, di giustizia a orologeria.

“L’ultimo aspetto di questa specifica procedura ci porta al conflitto agitato dalla magistratura combattente nei confronti, in generale, della politica e quindi riguarda la scelta dei tempi, la coincidenza dei tempi di questa comunicazione con le iniziative del governo”.  

Il caso, dunque, è di fatto un’altra tappa del lungo scontro tra politica e giustizia in questo Paese?

“Mi pare difficile sottrarsi al giudizio che è implicito nella sua domanda, perché a chiunque legga il disegno di legge relativo alla separazione delle carriere è abbastanza evidente che le garanzie di indipendenza che vi sono oggi vi sarebbero anche domani, una volta che venisse approvata la modifica costituzionale. Il vero problema che muove e agita la magistratura combattente sorge non dalla proposta del governo, ma dall’attuale Costituzione, perché questa comporta già una separazione tra magistrati giudicanti e magistrati dell’accusa, perché nell’articolo 107 della Costituzione, mentre i primi tre commi garantiscono tutti i magistrati, l’ultimo dispone che “il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario””.  

Con quali conseguenze possibili? “Questo vuol dire che le garanzie del magistrato che svolge la funzione di pubblico ministero non sono stabilite direttamente nella Costituzione, ma dalle norme di legge ordinaria sull’ordinamento giudiziario (queste, secondo l’articolo 108, sono stabilite con legge ordinaria)”.  

Ritiene che la separazione delle carriere sia un passo appropriato per un nuovo equilibrio tra le istituzioni? “Come ho più volte scritto, la separazione delle carriere non è il passo più urgente per far funzionare la giustizia in Italia, ma è comunque un passo necessario perché consente di stabilire quella terzietà che l’appartenenza dei magistrati giudicanti e i magistrati dell’accusa allo stesso corpo non assicura”.  

Che altro servirebbe fare? “Giustizia ritardata è giustizia negata. Quindi, processi che si chiudono persino in decine d’anni implicano un cattivo funzionamento della macchina della giustizia. Questo è il punto capitale della giustizia in Italia”.  

La protesta dell’Anm rispetto alla riforma della giustizia non va oltre i limiti della normale dialettica istituzionale tra poteri dello Stato? “I magistrati militanti stanno precipitando l’ordine giudiziario su una strada pericolosa. Con manifestazioni plateali e minacce di sciopero, dirette contro un provvedimento che non diminuisce l’indipendenza dei magistrati dell’accusa e che comunque è solo nella sua fase iniziale, e sul quale deve pronunciarsi il popolo con un referendum, la magistratura militante fa perdere al corpo complessivo della magistratura, composto di persone di alta qualità, selezionato con criteri rigorosi, dotato di equilibrio, quel ruolo e quel prestigio che la magistratura italiana ha avuto”.