Roma, 30 gennaio 2025 – La classificazione corretta è “sicurezza nazionale”. E in un Paese “normale”, come sono gli altri Paesi europei, il caso Almasri non sarebbe mai diventato “un caso”. Solo da noi si è riusciti a trasformare una questione di sicurezza nazionale, che, come tale, dovrebbe vedere dalla stessa parte governo, opposizione e altre istituzioni dello Stato, in una gigantesca bolla di ipocrisia collettiva. A spiegare e raccontare come stanno le cose dietro l’ultimo affaire politico-giudiziario internazionale è un autorevolissimo addetto ai lavori che conosce, come pochi, gli intrecci e le dinamiche che guidano intelligence, diplomazia e governi di fronte a situazioni delicate di tutela dell’interesse nazionale.
L’errore del governo – osserva – è di aver comunicato male: bisognava dire che il generale libico era stato espulso non perché “pericoloso”, ma per ragioni di sicurezza nazionale. E chiudere la questione. Non sono, forse, tali i rischi di minacce e ritorsioni asimmetriche legati ai flussi migratori, all’energia e al terrorismo islamico? Vogliamo mettere nel conto che solo fino a tre anni fa la capitale della Sirte era in mano all’Isis? O che, in Libia, abbiamo e dobbiamo per forza avere a che fare – insiste il nostro interlocutore – con le milizie, in presenza di uno Stato fallito? Almasri, in questo contesto, è il numero due di Mohammed al-Khoja, salafita (dunque, vicino agli islamisti radicali), capo della milizia filo turca Special Deterrence Force (Rada), oltre che del Dipartimento contro l’immigrazione illegale (Dcim). Come dire che se vogliamo avere un ruolo in Libia per l’energia o tentare di gestire i flussi migratori o tentare di contenere i pericoli di infiltrazioni terroristiche, se non peggio, “non possiamo avere a che fare solo con dirigenti incensurati, anche perché in Libia non ve ne sono”. Il che, peraltro, vale per tutti i governi italiani di questi decenni, perché non è stata chiesta la fedina penale ai vertici politici libici con i quali sono stati negoziati proficui e produttivi accordi nel 2017 dall’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, accordi rinnovati nel 2020 da Giuseppe Conte e nel 2023 da Giorgia Meloni. Senza soluzione di continuità da parte di Pd, M5S e centro-destra. Né risulta che i ministri dem o grillini, potendolo fare, abbiano chiesto il ritiro dell’Italia da quelle intese.
Non è cinismo o Realpolitik – spiega il nostro –: è sicurezza nazionale. E gli altri Paesi vicini a noi lo sanno bene. E, da ultimo, proprio il tour europeo di Almasri lo dimostra: è stato in giro per l’Europa per quasi due settimane, a Londra, Bruxelles, Bonn, Monaco. Vogliamo pensare che i servizi inglesi o tedeschi non lo sapessero? Ebbene, la Corte penale internazionale chiede di arrestarlo solo quando (e non appena) il generale libico arriva a Torino: sarà un caso, ma l’attuale procuratore della Cpi è l’avvocato inglese Karim Ahmad Khan.
Ora, al di là della querelle tra la magistratura e il ministro Carlo Nordio sul cavillo o non cavillo che ha permesso la scarcerazione di Almasri, il dato di fondo e di sostanza – insiste il nostro addetto ai lavori – è ben altro: gli altri Stati si muovono come sistema nell’interesse nazionale da sempre e certe vicende, come questa, non sono certo oggetto di propaganda politica delle opposizioni. Basti pensare – ci segnala – il caso Ocalan, il capo del Pkk, che venne in Italia nel 1998 inseguito da un mandato di cattura internazionale tedesco per terrorismo e omicidio: in 12 ore la Corte suprema tedesca lo trasformò in un mandato di cattura interno per evitare che l’Italia lo rispedisse in Germania, dove si temevano proteste e tensioni violente.
Ma, d’altra parte, come è stato osservato e come il nostro interlocutore conferma, se il registro italiano dei voli di Stato potesse parlare, rivelerebbe un numero non limitato di operazioni di rimpatrio e di espulsione decise da tutti i governi per ragioni di interesse nazionale: e il luogo per la consultazione e l’informazione bipartisan è stato sempre il Copasir, il Comitato di controllo sui servizi. Peccato – conclude rammaricato la nostra fonte – che oggi siamo scesi a un livello di scontro politico che non risparmia più neanche questo. Il che è tanto più grave perché, in un mondo più incattivito, non possiamo permetterci di fare come Alice nel Paese delle meraviglie.