Mercoledì 28 Agosto 2024

Il cardiologo di Oliviero Toscani: “È un guerriero contro l’amiloidosi. Oggi questa malattia si può curare”

Michele Emdin, direttore del dipartimento cardiotoracico della Fondazione Monasterio: “Grandi progressi dalla ricerca”. Giuseppe Limongelli, esperto della patologia: “Grazie all’intelligenza artificiale potremo fare ancora di più”

Oliviero Toscani

Oliviero Toscani

Roma, 28 agosto 2024 – “Oliviero è un paziente straordinario, consapevole, un vero guerriero contro la malattia. Stamani gli ho scritto un messaggio dopo avere letto la sua intervista per ricordargli che se l'amiloidosi è una patologia faticosa per ogni paziente, si può curare e lui si sta curando con grande forza”. Michele Emdin, docente alla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e direttore del dipartimento cardiotoracico della Fondazione Monasterio, è il cardiologo che ha in cura Oliviero Toscani, affetto da amiloidosi da transtiretina.

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"La ricerca scientifica ha fatto grandi progressi e continua a farne aiutando così a dare risposte cliniche sempre più efficaci”, le parole del medico. Che aggiunge. “Le battute di Toscani sono lucide, provocatorie e affilate come rasoi e lui è sempre stato così. Ma non tolgono nulla alla determinazione con la quale Oliviero si sottopone alle cure. Oltre alla terapia tradizionale con farmaci regolarmente reperibili in commercio per stabilizzare la proteina 'malata’ e frenare la malattia lui ha scelto di aderire, parallelamente, anche a un programma per testare l'efficacia di un farmaco che si trova ancora nella fase sperimentale”.

Emdin, inoltre, ricorda che il centro pisano della Fondazione Monasterio è un riferimento internazionale per la cura di questa patologia che “non è rara come si riteneva in passato, ma diffusa tra chi ha oltre 70 anni e la ricerca scientifica è fondamentale per dare risposte cliniche efficaci con diagnosi precoci”.

L’esperto: “Oggi nuove cure e studi”

Secondo Giuseppe Limongelli, direttore del centro di coordinamento per malattie rare della Regione Campania, l'amiloidosi rappresenta "una vera e propria sfida sia per il paziente sia per il medico, in un percorso che chi cura e chi è curato iniziano insieme. Ma oggi, rispetto solo a 10 anni fa, abbiamo diversi studi internazionali in corso e molte più possibilità di terapie per superare questa sfida soprattutto se il paziente viene riconosciuto precocemente. Già abbiamo nuovi strumenti per riconoscerla, ma domani, probabilmente, con l'uso routinario dell'intelligenza artificiale nella diagnostica potremo fare grandissimi passi avanti". Quando parliamo di amiloidosi, caratterizzata da un accumulo anomalo di proteine nei tessuti, "ci riferiamo, in realtà, a più malattie – continua l’esperto –, perché sono diverse le proteine che possono potenzialmente formare la struttura che si aggrega (struttura amiloide) e che 'precipita' nei vari tessuti".

Le tre forme dell’amiloidosi

Per esempio, analizza Limongelli, "c'è una malattia del sangue legata al mieloma multiplo in cui la sostanza amiloide viene formata essenzialmente da immunoglobuline che circolano e che possono precipitare nei diversi tessuti. In questo caso parliamo di amiloidosi AL. C'è un'altra patologia che invece dipende da un'altra proteina che viene prodotta dal fegato e in questo caso la malattia si chiama amiloidosi da transtiretina ereditaria. Infine può essere attivata per processi infiammatori senili e in questo caso si chiama amiloidosi da trastiretina wild type o senile. Queste tre forme - AL, da trastiretina ereditaria o senile - sono le più comuni".  Queste forme, continua il direttore, "possono colpire anche il cuore. E questo è particolarmente grave. L’amiloidosi AL, infatti, viene definita malattia sistemica perché, di fatto, colpisce il sangue e questo consente alle immunoglobuline di depositarsi nei vari tessuti: cuore, reni, fibre nervose. Ma anche l'intero sistema gastroenterico, non a caso ci sono pazienti che perdono molto peso".

Sforzo multidisciplinare

“E mentre le prime due forme sono molto rare, per quanto riguarda la malattia senile (o non ereditaria) si comincia a pensare che sia più comune di quello che si credeva", spiega Limogelli sottolineando che siamo di fronte a una patologia "progressiva, debilitante, complessa che richiede uno sforzo multidisciplinare". "Non basta solo il cardiologo, ma ci vuole il neurologo, il nefrologo, lo psicologo, il genetista, l'anatomopatologo. E anche il medico di base come 'case manager' che sia pienamente 'a bordo' dell'equipe per tutte le necessità del paziente e spesso anche della famiglia". Per l'esperto, rispetto a queste malattie, "quello che colpisce di più in senso positivo è che negli ultimi anni stanno venendo fuori diverse possibilità che non ci saremmo nemmeno immaginati fino a dieci anni fa. Oggi abbiamo terapie per tutte le forme di amiloidosi e nuove terapie arriveranno perché ci sono dei trial internazionali in corso. Ci sono dei risultati che si raggiungeranno in tempi non lunghissimi".