Milano, 24 luglio 2023 – D’estate diventa un inferno. Il vecchio carcere di San Vittore, aperto nella seconda metà dell’800 nel cuore della città, ospita in media 900 persone nei 700 posti effettivi di cui dispone. Due reparti chiusi da più di vent’anni per motivi strutturali, il sovraffollamento che con il caldo rende l’atmosfera irrespirabile. Si può comprare Il ventilatore da tenere in cella, non fosse che costa. E a San Vittore, che è una casa circondariale dove ogni giorno entrano 10-15 persone appena arrestate, arriva soprattutto chi non ha un euro da spendere. La maggior parte dei detenuti, il 70-80%, è fatta di stranieri spesso irregolari. Sempre di più finiscono dietro le sbarre giovani tra i 18 e i 25 anni, 250 in media. E quasi la metà dell’intera popolazione del carcere ha problemi di droga o dipendenza da alcol, molti hanno crisi legate all’abuso di farmaci, troppi sono quelli con disturbi di tipo psichiatrico. “Oltre agli ospiti con problemi diagnosticati – spiega Francesco Maisto, Garante per le persone private della libertà del comune di Milano – ci sono quelli con disturbi della personalità e addirittura quelli che il giudice ha valutato incapaci di intendere e volere ma attendono in carcere, dove non dovrebbero stare, che si liberi un posto in una Rems, le residenze che hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari”.
“A peggiorare le cose – spiega l’avvocata Valentina Alberta, presidente della Camera penale di Milano – c’è stata anche l’indicazione dei vertici del Dap (il dipartimento carcerario) a rientrare nella norma regolamentare che ammette un massimo di 4 telefonate al mese da 10 minuti per ogni detenuto. Durante la pandemia questa possibilità era stata molto ampliata senza creare alcun problema e ora il passo indietro contribuisce ad aggravare le tensioni".
Intervenendo al programma Radio carcere su Radio radicale, il direttore di San Vittore Giacinto Siciliano ha spiegato che, nonostante il sovraffollamento cronico, lo spazio dei tre metri quadri a testa in ogni cella viene rispettato. Grazie anche agli ‘sfollamenti’ periodici di detenuti (destinati ad altri penitenziari) dato che in una casa circondariale ci deve sempre essere posto per i nuovi arrivi giornalieri. “Ma il vero problema non è tanto il rispetto formale degli spazi – ha ammesso Siciliano – quanto la difficoltà di garantire a chi è dentro una certa qualità della detenzione. A San Vittore cerchiamo di avere attenzione per le persone, ma c’è anche un problema di spazi per le attività, che spesso non si riesce a risolvere”.
Però in carcere esiste anche un reparto come ‘La nave’, che da vent’anni ottiene buoni risultati con un gruppo, sia pur ristretto, di detenuti con problemi di tossicodipendenza. “Il carcere è il servizio pubblico che si ritrova a dover gestire tutto quello che negli altri non ha funzionato – ripete Siciliano – e andrebbe finanziato adeguatamente”.
“Il fatto che San Vittore si trovi in centro città ha senza dubbio degli aspetti positivi – osserva don Marco Recalcati, da dieci anni cappellano –. Permette la partecipazione del territorio, quella rete di operatori e di volontari che altrove non esiste”. E di loro c’è un gran bisogno anche in relazione all’utenza, per dir così. “Per quelli che entrano, spesso è la prima volta: c’è una sofferenza particolare legata all’inizio di un percorso carcerario, c’è il senso di colpa verso se stessi e i familiari. Molti hanno problemi di dipendenza, altri sono senza fissa dimora, ci sono stranieri soli che non hanno colloqui o telefonate da fare”.