Il ministro Salvini parla di un chiodo che avrebbe determinato l’enorme paralisi dei treni. Possibile che tutto possa dipendere da questo? Che non esista un sistema di emergenza?
“Molte volte il ministro Salvini parla senza cognizione di causa, cerca più la battuta che la sostanza – avvisa secco Stefano Malorgio, leader del sindacato dei trasporti della Cgil –. Vedremo l’esito finale dell’inchiesta aziendale, ma se tutto fosse dovuto a un chiodo ci dovremmo preoccupare. Il sistema ferroviario è complesso e fragile ed è stato pensato perché un qualsiasi evento imprevisto non debba mettere in ginocchio un’infrastruttura così importante per il Paese. La domanda che ci poniamo e che si dovrebbe porre il ministro è se i sistemi di emergenza sono adeguati a intervenire in questi casi”.
L’azienda ha sospeso il contratto alla ditta che si occupava della manutenzione. Non si rischia di andare alla ricerca del capro espiatorio per una situazione ben più drammatica e con responsabilità più elevate? Tutta colpa di un operaio?
“Purtroppo chi ha la massima responsabilità in questo Paese tende sempre a scaricare le colpe sugli altri. Si dovrà accertare se un operaio abbia incidentalmente trinciato un cavo, ma la politica si dovrebbe interrogare su come evitare che questo possa accadere a partire dalla risposta ad una domanda. Il sistema di appalti e subappalti ha effettivamente qualificato i sistemi di manutenzione? A noi pare di no”.
Qual è la catena delle cose che non funzionano e che hanno determinato una situazione che si ripete ormai con frequenza?
“Siamo di fronte a un fatto eccezionale, ma non possiamo negare il fatto che sia un periodo in cui sulla rete e sul materiale rotabile ne accadono di tutti i colori. Ogni problema ha una sua dinamica e trovare un minimo comune denominatore è difficile ma non impossibile. Noi non siamo interessati, a differenza del ministro, a cercare capri espiatori, ma pensiamo che qualcosa si possa fare. Certamente la pressione alla quale il sistema ferroviario è sottoposto, in termini di numero di treni, contrapposto alla inadeguatezza della nostra infrastruttura, non aiuta e produce una serie di interventi con conseguenti difficoltà. L’esternalizzazione di moltissime attività di manutenzione delle infrastrutture ferroviarie non ha giovato anche per la conseguente perdita di quel know-how che prima era in capo all’azienda e ai lavoratori e alle lavoratrici”.
Che cosa si rischia con la possibile privatizzazione di Fs?
“Intanto trovo fastidioso parlare della presunta inefficienza aziendale per spingere verso la privatizzazione. Il gruppo Fs è dal nostro punto di vista ancora un’azienda sana, con grandi professionalità e lavoratori e lavoratrici che anche nelle ore più difficili hanno dimostrato la capacità di intervenire ed interloquire con chi viaggia e, credetemi, non è facile. Sul merito delle privatizzazione ventilata, di cui non si conoscono i contorni, parla l’esperienza di altri Paesi in questo campo, Regno Unito per citare un caso, ma anche ciò che è accaduto in altre realtà italiane con l’ingresso di fondi più o meno speculativi sul versante infrastrutturale, generando un conflitto tra l’interesse pubblico e la redditività dell’investimento. Due concetti che quasi mai vanno d’accordo. Non è questa la soluzione se si vuole guardare ad investimenti e qualità. In realtà però la dinamica di questa discussione non ha nulla a che fare con il miglioramento delle infrastrutture ma con la necessità di questo governo di fare cassa, obiettivo tra l’altro tutt’altro che semplice, per finanziare una legge di Bilancio per di più iniqua. Un’entrata di cassa domani che diventerà un buco nero dopodomani”.