Lunedì 10 Marzo 2025
ANDREA GIANNI
Cronaca

Bus precipitato a Mestre. I medici in aiuto dei soccorritori: "Hanno flashback dall’inferno"

Città attonita, richieste di sostegno da chi quella notte è intervenuto sotto al ponte maledetto. Attesa per l’autopsia sull’autista. Estratta la scatola nera: ma il conducente nei video non c’è.

Bus precipitato a Mestre. I medici in aiuto dei soccorritori: "Hanno flashback dall’inferno"

MESTRE (Venezia)

Il sangue, le urla, i morti tra le lamiere del bus, tra cui bambini. Ricordi della strage di Mestre che stanno togliendo il sonno ai "cittadini eroi" che martedì sera si sono precipitati a prestare soccorso. Ansia, flashback che li portano a rivivere di continuo le fasi concitate dopo l’incidente che ha provocato 21 morti, un corollario di disturbi che si stanno manifestando una volta scesa l’adrenalina. Porta con sé anche questi strascichi uno dei più gravi incidenti stradali d’Italia. La strage ha provocato pesanti ripercussioni psicologiche, oltre che sui feriti e sui familiari delle vittime, anche sui soccorritori che, pur essendo abituati a lavorare in emergenza, si sono trovati di fronte a una scena "apocalittica".

E anche cittadini che sono accorsi spontaneamente per aiutare i feriti e le persone intrappolate tra le lamiere hanno chiesto supporto psicologico all’ospedale dell’Angelo di Mestre. "Hanno vissuto un’esperienza terribile e difficile da gestire senza aiuti", spiega il responsabile del dipartimento di Salute mentale, Moreno De Rossi. "Chi è intervenuto spontaneamente è consapevole di aver fatto la cosa giusta – prosegue – ma ora è disorientato". Uno choc provato anche dall’amministratore delegato della società di trasporti La Linea, Massimo Fiorese. "Non avevo mai visto un morto e martedì sera ne ho visti 21 – racconta –, sono giorni che non dormo. Mi sembra di vivere in un film, riceviamo continuamente telefonate di pazzi, di mitomani, di ingegneri e periti che cercano di speculare". Sono le conseguenze di scene che lasciano un ricordo indelebile nella mente di persone che, mettendo a rischio la vita, si sono improvvisate soccorritori. Persone come gli operai Aboubacar Tourè e Odion Egboibe che, dopo il viaggio della speranza dall’Africa, si stanno costruendo un futuro lavorando in una delle ditte dell’indotto del colosso della cantieristica navale Fincantieri. L’imprenditore originario del Kosovo Bujar Bucaj, in Italia da 25 anni, che gestisce un bar a pochi passi dal luogo della tragedia.

Sono lo specchio di una città dalla doppia anima, crocevia di persone provenienti da tutto il mondo. Gli alberghi con indicazioni bilingue italiano-cinese, rivolti a comitive di turisti del gigante asiatico, si alternano alle case degli operai delle ultime storiche industrie del Veneto. I nuovi alberghi costruiti vicino alla stazione, sull’onda di un turismo di massa che genera un flusso caotico verso Venezia, convivono con gli stabilimenti dell’immenso polo industriale di Marghera, legato anche a una storia di lotte sindacali e per il risanamento di un ambiente inquinato. A fine turno escono dagli stabilimenti Fincantieri operai provenienti da mezzo mondo. Si incolonnano sulla strada che costeggia il luogo della strage, alcuni si spostano in bicicletta o con un monopattino elettrico in una città dove anche i nomi delle vie (via dell’Elettricità, via dell’Industria...) rimandano all’epoca del boom economico. Fabbriche dismesse e viadotti dove si rifugiano sbandati e senzatetto, un labirinto di strade dove spuntano strutture per turisti, come il camping Hu dove alloggiavano le vittime della strage. Tutti stranieri, tranne l’autista Alberto Rizzotto, provenienti da sei Paesi: Romania, Ucraina, Croazia, Sudafrica, Germania, Portogallo. Destini che si sono incrociati a Venezia, storie di dolore e speranza. Maria, arrivata a Mestre dopo un estenuante viaggio di due giorni dall’Ucraina, ha riabbracciato la figlia sopravvissuta. Dal Paese sconvolto dalla guerra aveva indirizzato una email disperata al Comune, chiedendo informazioni sulla ragazza. Grazie alla risposta immediata, è potuto avvenire il ricongiungimento. È una storia di vite spezzate, invece, quella di tre amiche ucraine – le 30enni Iryna Pashchenko, Yulia Nemova e Lyubov Shishkareva – venute in Italia per una vacanza. Iryna lavorava in un ente pubblico ucraino, l’amministrazione delle risorse idriche del bacino di Siversko-Donetsk. Amava viaggiare e correre, partecipava a competizioni con il suo cane samoiedo e praticava yoga. Una "cittadina del mondo", come le altre vittime della strage.