Roma, 13 gennaio 2019 - Professore Andreoli, nel suo nuovo libro il protagonista scopre nella vecchiaia il web. Qual è la ricetta per fare entrare le persone della terza età in Rete?
"Il vecchio nella mia opera è lontano dal mondo di Internet, ma lo usa. Alla fine tiene quattro lezioni che hanno successo ma si ferma: avverte il bisogno non solo di sapere quanti seguaci (followers) ha, ma anche di vederli e toccarli. Il mondo digitale si apra agli anziani, per occupare lo spazio dell’abbandono: il dramma dei vecchi".
Lei naviga in Rete?
"No, ma non la demonizzo. I social invece sì, sono una fuga dalla socialità tra le persone, una fuga dal concreto, per andare in un mondo che non c’è. Facebook andrebbe chiuso".
Cosa è cambiato dai ragazzi violenti di una volta ai baby bulli di oggi?
"Molto, anzi tutto. Si è passati dall’aggressività contro il nemico alla violenza contro il compagno di scuola. I giovani di una volta li definivamo ‘violenti’, ora sono distruttivi: fanno male anche a se stessi. Quando picchiano uno e lo riprendono per pubblicare il video sui social fanno una confessione: ‘ecco la prova che ho infranto la legge’".
La morte è un concetto che terrorizza l’Occidente. Sarà mai possibile renderla ‘normale’?
"Io odio la morte, perché l’uomo ha sempre qualcosa da fare. L’ultimo mio desiderio sarebbe aggiungere un’ora alla mia vita per chiedere scusa alle persone a cui non ho dato tutto. Amo questa terra e questo Paese anche se è fatto di masochisti gioiosi".
Di cosa ha paura Vittorino Andreoli?
"Sento molto la paura, ma è un meccanismo dell’uomo: serve a prevedere ed evitare i rischi. La mia paura è non avere più un senso, non essere più utile, capace di capire gli altri e ascoltarli".
Si definisce non credente, ma non ateo. Le religioni diventeranno marginali per gli uomini?
"L’ateo manca di rispetto a chi crede e a chi potrebbe credere, come me. La fine delle religioni? Il mistero non è una domanda a cui la razionalità può rispondere e dunque fa parte dell’uomo. Ci sarà sempre".
Sostiene che tutti possono diventare ‘matti’ e negli assassini ci possono essere normalità e genialità. Lei stesso ha dovuto fronteggiare disturbi psicologici importanti?
"Ho le mie ansie, sono particolarmente fragile, mi piace lamentarmi, sono un pessimista attivo: insomma, sono un uomo comune. Ma bisogna fare una distinzione tra fragilità e patologia: il nostro tempo ha medicalizzato troppo, a ogni difficoltà applica una categoria clinica. Le fragilità sono legate alla condizione umana. Ma io non credo di essere inquadrabile in una categoria psichiatrica e, se lo fossi, pochi potrebbero fare diagnosi su di me".
Pietro Maso, Donato Bilancia, Unabomber, Piazza della Loggia. Come ha fatto ad appassionarsi dell’uomo in questi casi?
"Sono punti della Storia, per me era un impegno doloroso: Piazza della Loggia, un incubo ma che rifarei. Donato Bilancia, un uomo che in sei mesi ha ucciso 17 persone, non mi ha mai fatto paura: andavo a vederlo ogni sera, l’ho fatto spostare di carcere e in lui ho intravisto umanità. E gli occhi di Pietro Maso mai li dimenticherò".
Quale la delusione più grande della carriera?
"Gli psichiatri, non i malati. Ho incontrato troppi mestieranti. La psichiatria è disciplina, serve passione, occorre amare l’uomo, non se stessi".
C’è un personaggio che avrebbe voluto avere in terapia?
"Il mio sogno è curare il potere. Mi ero offerto per andare gratis a Palazzo Chigi, a Palazzo Madama, alla Camera: mi hanno risposto ‘no, grazie’".
Non parla mai di politica. Che rapporto ha con destra, sinistra e populisti?
"Ho fatto una scelta precisa: dedicarmi a tutti i matti. Vado a votare, certo, ma amo l’uomo: i partiti giudicano, non esiste un schieramento se non esiste un nemico. La politica è una patologia, è guerra. Il potere è la più grande malattia sociale e il denaro è il simbolo del potere. Io non ho mai fatto in modo, anche nelle scelte politiche, di essere legato alla ricchezza".
Sarebbe in difficoltà ad avere come paziente Donald Trump?
"No, assolutamente. Se mi invitasse alla Casa Bianca, porterei il camice bianco con me".
Si è mai infatuato di una sua paziente?
"Mai. La professione psichiatrica è la mia religione. Capita spesso nelle sedute? Lo so benissimo, conosco psichiatri che si giustificano: ‘amo e vado a letto con la mia paziente, anche questa è terapia’".
Molti sostengono che scagionare un killer perché ‘incapace di intendere e volere’ non è giustizia. La perizia psichiatrica è da eliminare?
"È da cambiare: la formula attuale si giustifica nel 1930 col Codice Rocco. Il capire e il voler fare ora non bastano a spiegare un comportamento: vanno analizzate le caratteristiche non controllabili e non consapevoli. Se un malato di mente compie un reato, va curato. Se uno lo fa consapevolmente e senza disturbi, va condannato".
Qual è il sogno di Vittorino Andreoli?
"Tornare matricola all’università per studiare il cervello".