Roma, 5 marzo 2025 – Non ha potuto urlare "Campioni del mondo' come Martellini e Civoli ma la traccia professionale e umana lasciata da Bruno Pizzul va oltre le Coppe del mondo e gli incroci del destino. Il gigante buono di razza furlan ha commentato le imprese e le cadute della nazionale italiana fra il 1986 e il 2002 e gran parte di quel percorso l'ho compiuto accanto a lui come inviato del Resto del Carlino.
Eravamo insieme anche nella tragica notte dell'Heysel, il 29 maggio 1985, quando la finale di Coppa dei campioni tra Juventus e Liverpool si trasformò in una tragica carneficina con 39 tifosi bianconeri morti, calpestati nella curva Zeta mentre tentavano di sfuggire alla foga assassina degli hooligans.

Io ero sugli spalti e poi nel ventre dello stadio per capire la portata del dramma che si consumava, Bruno appeso al suo microfono in balia di voci incontrollate e di notizie sommarie, cercava di trasmettere una sensazione di pacatezza e di normalità dentro quel subdolo e indecifrabile inferno. Lui ex calciatore, ex liceale di stampo classico amava il suo sport con l'entusiasmo sincero e lirico del poeta. Quello spettacolo di terrore che si consumava sotto i suoi occhi era figlio della follia ultrà e dell'inadeguatezza dello stadio scelto dall'Uefa e del ridicolo servizio d'ordine belga con pochi gendarmi a cavallo a vegliare sulla sicurezza dell'evento.
Alla fine, quando tutto fu terribilmente chiaro, Pizzul pronunciò una frase che è rimasta nella storia di quella serata e del giornalismo: "E ora purtroppo una notizia che debbo dare, perché è ufficiale, viene dall’Uefa. Ci sono 36 morti… Una cosa rabbrividente, inaudita… E per una partita di calcio”. Quella stessa gara che si giocò in omaggio a questioni d'ordine pubblico, quella partita che somigliava a una giostra di fantasmi lui la commentò fino all'ultimo minuto.
Una prova di supremo equilibrio e di enorme professionalità. Ma anche un forte messaggio di solidarietà umana. Perché la postazione televisiva di Bruno, come i telefoni di molti inviati, divennero uno straordinario ponte lanciato verso le famiglie lontane: per rassicurarle sulle sorte degli italiani dentro quell’inferno o per offrire ai parenti dei feriti e dei dispersi le prime indicazioni per poterli raggiungere in Belgio. In quella notte di follia il sereno gigante di Cormons apparve ancora più grande.