Lunedì 15 Luglio 2024
GABRIELE MORONI
Cronaca

Bozzoli e la carta disperata: "Sentite la teste austriaca . La sua versione mi scagiona"

La difesa chiede sia ascoltata la donna di Brixlegg con cui ebbe contatti. Ma la pista è già stata vagliata e bocciata in tutti i gradi del processo.

Bozzoli e la carta disperata: "Sentite la teste austriaca . La sua versione mi scagiona"

Bozzoli e la carta disperata: "Sentite la teste austriaca . La sua versione mi scagiona"

Le speranze di Giacomo Bozzoli di sollevare da sé il macigno dell’ergastolo portano in Austria, a Brixlegg, meno di 3mila abitanti nel distretto di Kufstein, in Tirolo. Portano alla Montanwerke-Brixlegg, specializzata nella lavorazione di metalli e a una rappresentante dell’azienda che, secondo Giacomo, potrebbe assicurare di non avergli mai dato denaro: sarebbe questa donna, mai sentita dai giudici ma presente nelle sentenze, il “testimone austriaco“ di cui parla Bozzoli nella lettera inviata dalla latitanza in Spagna a tre magistrati di Brescia.

La vicenda parte dai 4.400 euro trovati nell’abitazione di Giuseppe Ghirardini, l’operaio della fonderia che evaporò pochi giorni dopo la misteriosa sparizione di Mario Bozzoli e venne ritrovato a Case di Viso, sopra Ponte di Legno, avvelenato dal cianuro. Tutte le banconote erano state emesse dalla Banca Centrale Austriaca. Ghirardini non era mai stato in Austria e non godeva di una situazione economica tale da spiegare quella somma. Secondo la sentenza di primo grado, le banconote erano frutto di "una dazione compiuta in un’unica soluzione": il compenso elargito da Giacomo Bozzoli a Ghirardini, che per la sentenza di appello collaborò con lui quantomeno nella distruzione del corpo dello zio Mario nella fonderia di Marcheno, l’8 ottobre 2015.

Tra il 27 maggio e l’8 giugno 2015 ci sono quattro scambi bilaterali, riusciti o falliti, fra l’utenza di Giacomo e quella della ditta Montanwerke-Brixlegg. In occasione dei due contatti dell’8 giugno l’utenza austriaca si trova persino nel Bresciano, a Passirano. Interrogato dal pm, il 17 luglio 2019, in un primo tempo Giacomo assicura che "mai ho avuto nessun tipo di rapporto con l’Austria... Non sono mai andato in Austria e non ho mai parlato con nessuna azienda austriaca", salvo precisare subito dopo "mi sono permesso di chiamare una rappresentante che lavora per la Montanwerke" e ammettere, alla fine: "L’ho chiamata quattro volte". Elementi che da soli non consentirebbero di provare, necessariamente, il passaggio del denaro da Bozzoli a Ghirardini, ma che inseriti nel quadro accusatorio assumono "una indubbia valenza probatoria".

Nel ricorso in Cassazione i difensori di Giacomo, l’avvocato Luigi Frattini e il figlio Giovanni, avevano attaccato a fondo questa ricostruzione. Le conversazioni di Giacomo "furono molto brevi e del tutto sporadiche", non venne "concluso mai alcun contratto" con la Montanwerke e, in generale, "non venne mai concluso alcun accordo" tra la società Bozzoli e imprese austriache. Nei processi è mancato l’esame, come testimone, della rappresentante con cui ebbe i quattro contatti telefonici.