Lunedì 23 Dicembre 2024
Francesco Ingardia
Cronaca

L’ex ciclista Colbrelli e quei malori. La telefonata con Bove: “So cosa si prova, forza”

Colbrelli collassò a fine tappa: “L’ex Inter Eriksen mi chiamò e mi aiutò tanto. Ho detto al calciatore ’Se vuoi, sono qua’. Il defibrillatore? La scelta giusta”

Firenze, 8 dicembre 2024 – “Ciao Edo, non ci conosciamo. Ma so cosa stai provando. Conosco quel dolore. Sappi che sei vuoi parlare, ci sono”. Un messaggino su Instagram che neanche 24 ore dopo s’è trasformato in una telefonata piena d’affetto. “Se non ti disturbo ci possiamo sentire?” chiede Edoardo Bove, calciatore della Fiorentina accasciatosi a terra la scorsa domenica durante Fiorentina-Inter per quella maledetta aritmia che lo ha portato pochi minuti prima dell’arrivo a Careggi all’arresto cardiaco. Dall’altra parte della cornetta, ‘il Cobra’, Sonny Colbrelli. Ex ciclista in rampa di lancio che nel marzo ‘22, tagliato il traguardo della prima tappa del giro di Catalogna dopo la volata, affannato, s’è stretto la mano al petto prima di “vedere tutto nero”. Oggi su quel petto Sonny porta un mini defribrillatore sottocutaneo. Lo stesso dispositivo che nei prossimi giorni verrà impiantato a Bove. Lo stesso impiantato a un altro calciatore, ex Inter, Eriksen.

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Edoardo Bove, 22 anni, centrocampista romano della Fiorentina (foto Germogli)

Alle 18.17 di domenica scorsa, il suo cuore ha rischiato di fermarsi di nuovo, è così?

“Con un amico ero a bere qualcosa in un pub dove trasmettevano la partita. Al momento del malore di Bove, mi sono bloccato. Mi è salita la pelle d’oca nel vedere quel cordone di ragazzi attorno a lui. Non ce l’ho fatta a continuare a guardare un film già visto, ho lasciato la birra e sono scappato a casa. Si era riaperta una ferita troppo dolorosa”.

E poi?

“Il giorno dopo ho preso coraggio. Lo stesso che Eriksen ebbe con me quando mi disse: ’Sonny, io sono tornato, provaci anche tu’. Prendo coraggio: ’Edo, sappi che se vuoi parlare ci sono’, scrivo. Poi mi ha chiamato...”

E che vi siete detti?

“Non siamo entrati nel merito, non c’era bisogno. Volevo solo trasmettergli la stessa forza che a me trasmise Eriksen quando ero in un letto d’ospedale a fissare il vuoto. E tranquillizzarlo sulla ‘macchinetta’, dato che la porto da due anni, nonostante il ciclismo e il calcio siano differenti”.

In che senso?

“Sull’agonismo, la normativa italiana parla chiaro. Nel ciclismo gli allenamenti sono in solitaria, in discesa arrivi a cento all’ora. In caso di nuova aritmia ci pensa il dispositivo a defibrillarmi, ma nel frattempo rischierei di finire in un dirupo, ammazzarmi o travolgere altri ciclisti in volata”.

Il Sonny di oggi è lo stesso di quello di due anni fa?

“Per niente. La nuova ragione di vita sono i miei due bimbi piccoli. L’egoismo iniziale di voler tornare a correre a tutti i costi col tempo se n’è andato grazie alla consapevolezza e gli incontri con tante persone che hanno perso amici o familiari. Lì ho capito quanto sono stato fortunato. E da due anni la mia mental coach mi sprona a vedere il senso reale delle cose. È stato un errore non chiedere subito aiuto. Non c’è vergogna nel farsi aiutare da uno psicologo”.