Matera, 25 novembre 2019 - Si definisce un ‘maestro di strada’, anche se lui maestro non lo è più da un bel pezzo. Antonio La Cava, lucano di Ferrandina, 74 anni, tuttavia, ha la scorza di quei sognatori capaci di compiere una rivoluzione copernicana, andando al di là di qualsiasi irrealistica ‘didattica per obiettivi’ e di ogni presunzione di ‘onnipotenza pedagogica’. Lui i libri non li impone, ma li regala, li offre e li presta, portandoli in giro per le piazze della Basilicata e di mezza Italia con il suo ‘bibliomotocarro’, un’Apecar a forma di casetta, ‘battezzata’ nell’ottobre del 1999 nel vecchio rione contadino del paese.
Cosa leggeva da bambino? "Leggevo a lume di candela. I miei genitori erano agricoltori e nelle sere d’inverno mi madre spegneva l’unica lampadina accesa in casa, verso le 19. Avevo 8 anni quando mi avvicinai alla lettura dei fumetti. Poi il primo libro: Fontamara di Ignazio Silone. Per i classici invece sono passato dall’ Iliade e l’ Odissea ai Promessi Sposi . Da allora, quella candela non si è mai spenta dentro di me".
Cos’è per lei un libro? "È un amico che non tradisce mai. Quando sono in difficoltà, solo o triste, mi rifugio in una pagina di letteratura. Non a caso, qualche anno fa, sono stato il referente locale di un progetto nazionale che si chiamava ‘Amico libro’".
Venti anni fa lei ha avviato il motore del ‘bibliomotocarro’. Qual è stata la scintilla che ha acceso questa idea? "È nata da un incrocio di sentimenti. Da un parte il dovere del maestro – che coglieva il progressivo affievolimento del rapporto tra i fanciulli e la lettura – dall’altra la riconoscenza verso mia madre. Io non avrei dovuto studiare, avrei dovuto fare il calzolaio, i miei erano poveri contadini. Ma la professoressa di italiano, un giorno, chiese a mia madre di fare un sacrificio per me. E lei mi disse che dovevo studiare e farmi onore, senza dimenticare di restituire agli altri bambini poveri quello che loro mi hanno dato".
Il ‘bibliomotocarro’ appare una soluzione controcorrente, volutamente umile. "L’Apecar è un veicolo semplice, quello che porta la frutta al mercato: per me il libro è come il pomodoro, come l’insalata che usiamo a tavola. Io non solo volevo mettere le ‘ruote ai libri’ per farli correre ma puntavo anche a sottolineare che la cultura, spesso molto aristocratica, è un patrimonio del popolo".
Le istituzioni come hanno accolto il suo progetto? "Con molta diffidenza, specie all’inizio. In Regione mi fecero capire che stavo screditando la Basilicata perché la dipingevo, usando queste parole, come un territorio di analfabeti".
E come viene, invece, recepito nelle piazze e nelle scuole? "Con entusiasmo, anche se ogni giorno devo affrontare qualche piccolo intoppo. In questi venti anni ho fatto 200mila chilometri, ho dovuto cambiare tre motori. E rifare il motore a un’Ape 500 della Piaggio è costoso quasi come rifare quello di una Mercedes".
Qual è la sua giornata tipo? "Stamattina, ad esempio, sono partito da casa alle 7, sono arrivato in un comune non lontano, alle 8.30, ho incontrato i bambini nell’aula magna per la lettura di testi narrativi e la visione di cortometraggi letterari che a volte sono realizzati dagli alunni delle elementari".
Lei presta o regala ai bambini delle scuole 500 e più libri a settimana. Dove li prende? "Nei primi 15 anni i libri li ho comprati di tasca mia. Oggi ne acquisto l’80%, il resto mi arriva da donazioni anche da fuori regione, il passa parola si va diffondendo anche a Bolzano, Reggio Calabria e Torino".
Spende così la sua pensione, quindi? "Sì, ma non voglio apparire un eroe. È una passione di cui non mi voglio privare".
I libri di carta hanno ancora un senso per i ragazzi? "Quando nacque il ‘bibliomotocarro’ uno mi disse che è era un’idea vecchia e superata ma gli risposi che era un’idea post-moderna. Finita l’ubriacatura dell’era digitale, tutti si renderanno conto che i libri di carta sono insostituibili. E più crescono i nuovi device, che a volte ci rendono schiavi, più avremo bisogno di libri che ci rendono padroni della nostra umanità. Il ‘bibliomotocarro’ è per me l’espressione di un umanesimo moderno".
Dia un consiglio ai maestri su come convincere i loro studenti alla lettura. "Non li devono costringere a leggere. E le faccio un esempio: il caso di Rossana, una bambina di prima elementare che non ha mai aperto la cartella per tutto l’anno scolastico. Arrivata in seconda, la bambina, che sembrava non aver mai sfogliato un libro, invece, sapeva leggere. Ed è successo perché serve saper trasmettere il piacere della lettura".