Palermo, 3 dicembre 2023 – Barbara Bartolotti vent’anni fa è scampata alla morte: oggi è in prima linea contro i femminicidi con la sua associazione ‘Libera di vivere’. Il titolo pare una sintesi perfetta della sua storia.
Una storia di coraggio. Il 20 dicembre 2003, incinta del terzo figlio, viene massacrata da un uomo che le dice, “non posso averti, meglio ucciderti”.
Lei stessa racconta così quel martirio, nel sito della sua associazione.
"Mi porto le mani al capo, vedo il sangue che comincia a colare, mi giro e lo scorgo con in mano un martello con cui si accanisce nuovamente su di me inferendomi altri colpi. Cado a terra, lui prosegue a calci e pugni e ripete: “Non posso averti, meglio ucciderti”. Non ancora soddisfatto, prosegue nel suo intento. Nella sua mano compare un coltello con cui mi colpisce al ventre squarciandolo, mettendo fine alla vita di mio figlio, meravigliosa creatura mai nata. Avevo appreso della sua presenza da poco, non ne conoscevo ancora il sesso. A questo punto va verso l’auto, penso e spero che abbia finito, ma mi sbaglio. Lo vedo tornare con una tanica e ora ho l’assoluta certezza che mi vuole morta. Comincia a versarmi il liquido infiammabile addosso e, una volta svuotato il contenitore, mi dà fuoco”.
Ma lei, miracolosamente, si salva. Un calvario in ospedale, sofferenza e dolore. Ma è in piedi. Oggi racconta la sua storia in tutta Italia, parla con i ragazzi nelle scuole e lavora per le vittime di violenza.
Barbara, come sta oggi?
“La mia ripresa è stata graduale, non è ancora completa. Ci sono i giorni buoni, quando riesco a mettermi in piedi, truccarmi, essere una mamma e una persona ‘normale’. Altre volte mi ritrovo in carrozzina. Per il trauma cranico dovuto alle martellate a volte ho l’impressione di cadere nel vuoto, ho le vertigini. Guardo una persona e mi pare di vederla in alto mare”.
Quindi è un problema anche guidare?
“Non viaggio mai da sola, c’è sempre qualcun altro con me. Perché questi problemi ci sono, pesano”.
A quanti interventi chirurgici si è sottoposta?
"Ho fatto 27 operazioni, fino al 2014. Ho cicatrici ovunque, cordoni che mi tirano. Mi sono fermata perché ero stanca di stare a letto. E poi tutti questi interventi hanno avuto un peso, economicamente. Perché si pagano”.
Una vittima non ha aiuti dallo Stato?
“Eh no, non abbiamo liste prioritarie, bisogna mettersi in coda come tutti. Dal 2005 ancora sono in attesa che mi chiami l’ospedale. Mi sono operata perché le ustioni non aspettano, si creano questi cordoni che vanno trattati. Così ha pagato mio marito. Perché io sono disoccupata”.
Quindi non esiste una corsia privilegiata?
“Assolutamente no. Ecco perché continuo a battermi, perché le vittime possano ottenere quello che io non ho avuto”.
Oggi è arrabbiata con il mondo o ha fatto pace?
“Io sono arrabbiata con lo Stato ma mi metto dalla parte dello Stato. Che però deve tutelarci. Ma non posso non fidarmi della gente, nella quotidianità. Altrimenti sarebbe meglio morire, significherebbe rimanere a casa con antidepressivi, non è per me. Certo, la rabbia c’è. Ma sono mamma, sono moglie, sono donna, devo andare avanti. Per me è diventato essenziale fare quello che faccio. Devo dare coraggio agli altri. Sono vent’anni che lotto”.
Il suo aggressore.
“Reo confesso, incensurato, con rito abbreviato e patteggiamenti la sua pena è stata ridotta a 4 anni di arresti domiciliari, da 21. Ma con l’indulto non ha scontato nemmeno quelli. Lui è un uomo libero e sano. Come parte lesa, abbiamo solo potuto rispettare una strada obbligata. Io combatto per cambiare anche questo”.
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