Milano, 13 giugno 2017 - Era il 1984 quando la televisione italiana si rese conto di aver bisogno di un sistema di misurazione dell’ascolto, qualcosa di simile ai contatori della luce o dell’acqua. Perché con l’avvento della tv commerciale chi comprava gli spazi pubblicitari voleva sapere quante persone l’avrebbero vista. Si partì così con 600 famiglie portate a 2420 nel 1989, e sembravano già molte. Eppure ieri la società ha annunciato che si passerà addirittura a un campione di 16.100 famiglie, pari a circa 40mila persone, un numero stratosferico che non ha uguali nel mondo. Perché?
Per parecchi buoni motivi. Primo, da sempre l’Auditel si è trascinata in un pantano di polemiche, sollevate da chi riteneva che i rilevamenti fossero inesatti e privilegiassero alcune categorie di ascoltatori. Secondo, una volta esisteva una decina di canali, oggi centinaia. Per riuscire a misurarli con accuratezza è evidente che serve un campione più ampio. Terzo, oggi la tv si guarda anche sul pc, sul tablet, sullo smartphone, soprattutto per quanto riguarda Netflix e Amazon. Perciò Auditel si sta attrezzando (il sistema dovrebbe partire dal luglio dell’anno prossimo) per leggere questo tipo di utilizzo, sempre più diffuso, con il cosiddetto router meter.
Ma già oggi c’è un salto di qualità: alle 5200 famiglie dotate del classico people meter (ogni famiglia dura in carica al massimo due anni, poi viene sostituita) vengono aggiunte 10.400 dotate di set meter (i primi dati verranno pubblicati il 30 luglio). La differenza? Il set meter rileva automaticamente gli ascolti senza bisogno di intervento umano. Con i vecchi meter, per esempio, era lo spettatore che doveva segnalare quante persone c’erano davanti allo schermo, con tutte le polemiche del caso, tra cui l’accusa di gonfiare gli ascolti di trasmissioni simpatiche e deprimere quelle antipatiche, magari anche in virtù di preferenze politiche. Il meter di seconda generazione, invece, è in grado, grazie a un algoritmo particolare, di rilevare automaticamente i consumi individuali.
È chiaro che con l’operazione “Superpanel” Auditel cerca di reagire all’evoluzione del sistema: è la tv tradizionale che combatte contro quella del futuro, la tv non lineare in cui si guarda quello che si vuole quando si vuole. È la polverizzazione dell’ascolto, in cui i canali tradizionali faticano a trovare la strada. Ed è un gesto di resistenza da parte di Auditel, visto che canali come Netflix o Amazon (o l’on demand di Sky o Mediaset Premium) sanno benissimo quanti spettatori guardano cosa, senza bisogno di rilevazioni a valle. È la differenza tra internet e tv: il web conosce sempre, con la massima precisione, il proprio pubblico, la tv no. Basterà il superpanel a salvare la tv?