Mercoledì 13 Novembre 2024
ERIKA PONTINI
Cronaca

Miami, l’ira della madre di Matteo Falcinelli: "Gli hanno distrutto la vita. Daremo battaglia"

La madre dello studente italiano dopo il violento arresto del figlio negli Usa è senza pace: “Ora ha paura ad uscire di casa "Mio figlio sta molto male, non succeda mai più"

Roma, 5 maggio 2024 – “Quello che ha subito mio figlio non dovrà succedere mai più a nessun’altra persona al mondo, tanto meno a un ragazzo di 25 anni, studente universitario all’estero. A Matteo, ragazzo solare, intraprendente e pieno di vita hanno tolto il sorriso e distrutto i sogni portandolo addirittura a cercare di togliersi la vita. E’ stato torturato: basta guardare i video per rendersene conto. Le azioni della polizia hanno rievocato in me le torture che la Gestapo attuava durante la Seconda guerra mondiale ai prigionieri e io andrò fino in fondo per ottenere giustizia”.

Approfondisci:

Matteo Falcinelli arrestato a Miami, l’avvocato Maresca: “Capirò quanto può intervenire l’autorità italiana”

Matteo Falcinelli arrestato a Miami, l’avvocato Maresca: “Capirò quanto può intervenire l’autorità italiana”
Approfondisci:

Studente italiano arrestato a Miami, alla brutalità si risponde con la giustizia

Studente italiano arrestato a Miami, alla brutalità si risponde con la giustizia
Le ferite al volto di Matteo Falcinelli
Le ferite al volto di Matteo Falcinelli

Vlasta Studenicova, nata in Slovacchia, con cittadinanza italiana, divorziata da uno spoletino è la mamma-coraggio di Matteo Falcinelli. Non si trovava negli Stati Uniti quando il figlio è stato arrestato e sottoposto a indicibili violenze, ma adesso è a Miami ad assisterlo e a dargli, insieme all’altro figlio Marco tutto l’amore e il sostegno di cui ha bisogno.

Approfondisci:

Parla Matteo Falcinelli: “Non facevo del male. Perché mi hanno ridotto così?”

Parla Matteo Falcinelli: “Non facevo del male. Perché mi hanno ridotto così?”

Come l’ha saputo?

"Sono stata avvertita da Marco, che si trovava in quel momento a Bologna: i compagni del college di Matteo sono riusciti a trovare il suo numero. Superato lo choc mi sono incollata al telefono per capire e gli amici di Matteo sono stati formidabili. Appena è stato possibile sono volata a Miami e ci ha raggiunto anche Marco”.

Come sta adesso suo figlio?

“Male, molto male. Gli hanno distrutto la vita. E’ seguito da psicologi e psichiatri. Inizialmente è stato ricoverato in un ospedale a causa delle gravi ferite che aveva riportato. In seguito è stato trasferito in un ospedale psichiatrico perché a rischio del suicidio – a causa delle brutali torture che gli sono state inflitte ha tentato di togliersi la vita più volte. Ancora adesso la notte sogna l’arrivo della polizia che lo tortura e si sveglia urlando. Lo devo sorvegliare giorno e notte”.

E dal punto di vista fisico?

“Ha danni ai nervi di entrambe le mani provocati dalle manette strette fino all’inverosimile, non gli circolava più il sangue: all’inizio non riusciva nemmeno a tenere una tazza in mano, e adesso non riesce ad aprire il tappo di una bottiglia ed ha entrambe le mani addormentate. Oltre a quello ha anche seri problemi al collo ed alla schiena”.

Approfondisci:

Cosa aveva fatto Matteo Falcinelli. Le ipotesi di reato dopo la notte a Miami

Cosa aveva fatto Matteo Falcinelli. Le ipotesi di reato dopo la notte a Miami

Si è rivolta alle autorità italiane?

“Sì, ho avuto un incontro anche con l’onorevole Andrea Di Giuseppe, il deputato italiano eletto per gli Stati Uniti, il quale ci ha subito messo in contatto con il consolato italiano dove poi ci siamo incontrati personalmente anche con il console”.

Adesso dove siete?

“A Miami, all’interno del campus universitario. Stiamo qui e Matteo evita di uscire, ha paura di qualsiasi cosa. Ha il terrore che possa succedere ancora”.

Che idea si è fatta?

“Dopo aver visionato le videocamere indossate dagli ufficiali di polizia forniteci soltanto pochi giorni fa, ho un forte sospetto... Vedremo”.

Matteo non è stato condannato…

“No, il giudice ha fatto cadere tutti i capi di accusa contro Matteo offrendo a mio figlio il programma che si chiama PTI (Pre Trial Intervention)”.

Cioè?

“Tanto per spiegare meglio, il 26 marzo alla prima udienza la procura non ha depositato “l’information” che sarebbe la formalizzazione dei capi d’accusa e non l’ha fatto nemmeno alla successiva del 28 marzo. Solamente in seguito sono stati formalizzati i presunti capi d’accusa: due per contatto con gli agenti, uno per violazione della proprietà privata del bar (Trespassing) e l’ultimo per resistenza senza violenza. L’accusa di trepassing è stata immediatamente ritirata dai gestori del bar. Per gli altri tre capi d’accusa la giudice ha ordinato alla pubblica accusa di riparlare con i poliziotti ma erano irrintracciabili. E la giudice ha deciso autonomamente di offrire a Matteo un programma detto PTI (Pre Trial Intervention). Non è un patteggiamento, nè un’ammissione di colpevolezza. E’ semplicemente la decisione dello Stato di non procedere in alcun modo e di far cadere tutte le accuse nei confronti di Matteo a fronte del completamento di un programma educativo. Di solito, come mi ha spiegato il nostro avvocato americano, a seconda della tipologia del soggetto, gli viene offerto un percorso che può variare da sedute psicologiche per soggetti con problemi mentali, oppure in caso di ubriachezza partecipare a incontri per evitare in futuro l’abuso di alcol o cose simili. Nel caso di mio figlio, che ha accettato il programma su consiglio del nostro avvocato, non gli è stata imposta nessuna particolare condizione, ovvero non ha nessun corso da frequentare. Semplicemente ha dovuto pagare 450 dollari, che sarebbe il costo amministrativo e mettersi in contatto per un periodo con il suo case manager telefonicamente o per email. Mi sembra tutto molto strano, anche la tempistica con cui il tutto si è svolto”.

E i video delle body cam?

“Abbiamo fatto richiesta più volte fino a quando finalmente a metà aprile la procura li ha trasmessi al nostro avvocato – tra l’altro il giorno esatto in cui Matteo è entrato nel Pti –. Da quelle riprese finalmente abbiamo scoperto cosa è accaduto quella notte e la verità dei fatti”.

Lei li ha visionati tutti più volte, cosa mostrano?

“Mostrano fatti completamente diversi da quelli descritti dagli agenti di polizia. Loro sostengono nel report che Matteo voleva rientrare nel bar per riprendere i 500 dollari che avrebbe speso. Sostengono di essere stati spintonati e che mio figlio aveva creato disordini nel locale, motivo per il quale sarebbe stato buttato fuori”.

E invece?

“Le telecamere inquadrano Matteo a distanza di circa due-tre metri dai poliziotti mentre cerca di riavere i suoi due telefoni che sarebbero rimasti all’interno del locale. Non c’è nemmeno una parola, né da parte di Matteo, né da parte degli agenti di polizia, in riferimento ai presunti 500 dollari. I cellulari per uno studente all’estero sono la vita: i soldi, la possibilità di chiamare un taxi, di rientrare al college e di accedere al portale universitario”.

Ma finisce arrestato...

“Chiede i loro nomi e nel momento in cui con il dito cerca di indicare il loro distintivo per verificare se quello fosse il Dipartimento della polizia, involontariamente probabilmente tocca il distintivo di uno dei poliziotti, cosa che fa scattare l’aggressione. Quando Matteo è a terra uno degli agenti gli mette il ginocchio sul collo, cosa che gli impedisce di respirare. Ed è in quel frangente che si avvicina in silenzio l’addetto alla sicurezza del bar e consegna, senza dire alcuna parola, ad uno degli agenti di polizia ambedue i cellulari di Matteo”.

E poi c’è quel video drammatico quando Matteo viene legato in cella. Deve essere stato terribile vederlo…

“Non si può vedere, per me è stato difficilissimo …. Per una madre è una sofferenza indescrivibile vedere il proprio figlio esposto a torture del genere, disumane ed atroci, e sentirlo urlare in quella maniera. Ho dovuto guardato quel video più volte per rendermi conto anche dei dettagli. Prima in quattro lo sbattono violentemente a terra con la faccia in giù, gli stringono le manette ancora più fortemente, gli legano brutalmente le caviglie con le cinghie, collegando poi le stesse alle mani e tirano le cinghie sempre più forte per circa quattro volte. Matteo emette terribili urla di tortura e vi assicuro che quelle urla non sono semplicemente urla di un dolore inflitto ad una persona, ma sono urla di un’atroce tortura. Matteo poteva morire: l’hanno lasciato in quel modo per più di 13 minuti”.

Quando rientrerete in Italia?

“Il prima possibile”.

Ha paura?

“Sì, tanta paura. Ma non avrò pace finché non avremo giustizia per mio figlio. Per questo ho bisogno dell’aiuto di tutti per portare avanti questa battaglia per i diritti umani e per condannare la tortura ad un essere umano”.