Lunedì 23 Dicembre 2024
REDAZIONE CRONACA

'Ndrangheta, arrestato il latitante Antonino Pesce. Azzerata l'omonima cosca

L'ultimo esponente di spicco dell'ndrina della Piana di Gioia Tauro è stato scovato in un rione popolare di Rosarno

L'arresto di Antonino Pesce (Lapresse)

Reggio Calabria, 10 marzo 2018  - Arrestato a Rosarno il latitante Antonino Pesce. Il 26enne, figlio del boss 59enne Vincenzo Pesce, dell'ominima cosca della 'Ndrangheta, era sfuggito alla cattura durante l'operazione 'Recherche' della Polizia e della Dda di Reggio Calabria che un anno fa ha portato in carcere diversi esponenti della cosca. In quel blitz si era smantellata la rete che per 6 anni aveva protetto la latitanza di un altro capo cosca, Marcello Pesce, 54 anni, arrestato nel dicembre 2016.

Antonino era ricercato da allora per associazione mafiosa. Gli agenti lo hanno scovato in un appartamento della cittadina nella piana di Gioia Tauro. Gli investigatori lo stavano cercando con il coordinamento della Dda reggina guidata dal procuratore facente funzioni Gaetano Paci, quando hanno avuto conferma che il latitante si nascondeva nel rione popolare "Oreste Marinelli" di Rosarno. Il 26enne originario di Cinquefrondi (RC) si è arreso subito alzando le mani. Con l'arresto di oggi, sono stati tutti catturati i latitanti della cosca Pesce.

Nonostante la giovane età Antonino Pesce è ritenuto dagli inquirenti un elemento di rilievo della cosca, anche perché ancora libero rispetto ad altri esponenti dell'''ndrina della piana di Gioia Tauro. Le indagini indicavano che Antonino aveva quindi assunto il controllo della cosca, come figlio di Vincenzo detto 'pacciu", anche lui detenuto, assiema la fratello Savino di 29 anni (ora in carcere), e insieme gestivano con metodologia mafiosa il trasporto merci su gomma dalla Piana di Gioia Tauro verso altre regioni d'Italia. 

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Il clan Pesce infatti, sotto la guida strategica del boss Marcello Pesce, è attivo in importanti settori criminali e con diramazioni nel nord Italia, soprattutto in Lombardia. 

I fratelli impartivano ordini e direttive alla cosca grazie allo spessore criminale del padre, riconosciuto dagli altri esponenti di vertice. Vincenzo Pesce è stato condannato, in via definitiva, a 16 anni di reclusione nell'ambito del processo All Inside, quale massimo esponente dell'omonima cosca, e a cinque anni di reclusione, in primo grado, nell'ambito dell'operazione Reale 6 per il reato di scambio elettorale politico-mafioso.