Milano, 24 dicembre 2016 - Milano, nodo strategico della geografia del terrore che scuote l’Europa. Milano, simbolo del consumismo occidentale, nemico numero uno dei jihadisti. L’ultimo, Anis Amri, il giovane stragista di Berlino che proprio all’ombra della Madonnina si voleva rifugiare, forse – ipotizzano gli investigatori –, per colpire al cuore il Paese che l’aveva accolto e punito dopo la stagione confusa delle Primavere arabe e il suo sbarco a Lampedusa.
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I VERTICI del Ros non hanno dubbi, la capitale economica è più a rischio di Roma. «Milano è al centro del triangolo con Germania e Francia, da qui si raggiungono facilmente Svizzera, Austria e i Balcani, ultima frontiera della guerra contro il Califfato. È un tassello fondamentale per le vie di comunicazione e per quelle di fuga», spiegano le teste di cuoio. Dopo lo scontro a fuoco di ieri notte a Sesto fra i due poliziotti eroi e il killer del mercatino di Natale, i dubbi sull’esistenza di una cellula dormiente ramificata in Lombardia con basi a Bergamo, Lecco e Varese sono pochi. È una rete fatta di contatti e nascondigli ai quali ricorrere quando si è braccati: estesa, potente, silenziosa. Lavora sott’acqua: fiancheggia, istruisce, arruola. Un mix micidiale di odio e proselitismo, che trasforma giovani violenti in crisi di identità, in martiri pronti a colpire. Con uno zoccolo duro nel Milanese, sulla linea dell’Adda. È qui che in due anni il controllo del territorio e l’opera di intelligence hanno portato all’espulsione o all’arresto di quattro soldati del Califfato. Da Fatima-Maria Giulia Sergio, originaria di Inzago, prima foreign fighter italiana ancora in Siria, al macellaio di Cassano, l’ultimo lupo solitario, al magazziniere di Vaprio, in contatto con la Sergio e con il più pericoloso del gruppo, Ibrahim Bledar, l’aspirante imam di Pozzo. Scaltro e intelligente, l’albanese 25enne prima di essere rispedito in patria, era andato a studiare il Corano in Siria per un anno e mezzo. Con lui, la cellula lombarda avrebbe potuto fare il salto di qualità. E anche con Amri. «Nei quattro anni di carcere passati in Sicilia aveva imparato l’italiano e stretto amicizie. Si era radicalizzato, senza dubbio aveva contatti a Milano. L’Italia, dopo la Tunisia, era il Paese che conosceva meglio», precisano i Ros.
Amri giura fedeltà all'Isis prima dell'attentato / VIDEO
ECCO perché dalla Francia, il ricercato numero uno d’Europa, aveva preso quel biglietto per Sesto. Città al centro di una feroce polemica per il progetto della nuova, grande moschea al servizio di Milano. A fermarlo, invece, due giovani agenti, il livello uno della catena di sicurezza comandata dall’Interno, quello delle verifiche per strada, che screma e porta i sospetti sul tavolo degli investigatori. Resta, però, il dubbio che il tir usato come un ariete per la strage non sia partito per caso da Cinisello, solo una manciata di chilometri da Sesto, teatro dell’ultimo conflitto del terrorista: la zona scelta da Amri per armarsi del suo carico di morte, la zona dove era sicuro di trovare protezione.