Venerdì 1 Novembre 2024

La lettera di Alessandra Ferruzzi. Mio padre, la famiglia, Gardini. Dopo anni di silenzio è il momento della verità

La figlia dell’industriale che costruì un impero scrive al QN: "Raul successore designato? Solo una leggenda". "L’acquisizione di Montedison non fu studiata. E il tentativo di conquistare Enimont fu forsennato"

Alessandra Ferruzzi, figlia di Serafino, insieme con il marito Carlo Sama

Alessandra Ferruzzi, figlia di Serafino, insieme con il marito Carlo Sama

L’impero di un industriale di razza come Serafino Ferruzzi fu il punto di partenza, e la migliore garanzia di successo, per la scalata alla Montedison portata a termine da Raul Gardini, l’imprenditore che si suicidò a Milano il 23 luglio del 1993, nel pieno dell’inchiesta Mani Pulite che di lì a poco avrebbe travolto i suoi manager. Con l’intervista concessa ieri a Quotidiano Nazionale, Sergio Cusani, uno dei protagonisti della finanza italiana degli anni Ottanta, l’uomo arrestato, condannato e riabilitato per la tangente Enimont, ha ricordato il ruolo di Ferruzzi, il grande industriale di Ravenna, e i lunghi anni di collaborazione con lui: le acquisizioni, la visione globale, il senso per gli affari. Oggi Alessandra Ferruzzi, la quarta figlia di Serafino, scrive proprio attraverso Quotidiano Nazionale una lettera in memoria del padre. Una lettera per chiedergli scusa, e per ribadire che lui è stato "uno dei più grandi imprenditori del secolo", senza cui - a suo modo di vedere - Gardini nulla avrebbe potuto.

Alessandra Ferruzzi

In questi giorni molto tristi per la mia famiglia, il trentesimo anniversario della morte di Raul Gardini, l’arresto di mio marito Carlo, l’inizio della fine del Gruppo Ferruzzi, mi rivolgo a mio padre Serafino, per chiedergli scusa! Scusa per NON aver fatto tesoro dei suoi consigli, scusa per NON aver messo in pratica quegli insegnamenti che mi impartiva durante i nostri viaggi della speranza da Ravenna a Brescia, insegnamenti di cui, solo anni dopo, mi sono dovuta rendere conto di quanto l’avesse vista lunga ed avesse precorso i tempi.

Ricordo il suo sorriso il giorno della mia laurea in Economia e Commercio con 110 e lode e con la tesi sul mercato dei cereali di Chicago, che lui mi consigliò dicendomi: "Tu devi lavorare al mio fianco, tu devi essere il ’controller’ del Gruppo", cioè il supervisore dei conti. Mio padre è morto in un incidente aereo il 10 dicembre del 1979, guarito dal cancro: avevo 25 anni, lui aveva 71 anni e lo rivedo sempre pieno di vita, con l’energia di un giovane uomo che ha chiaro in testa il suo progetto: far crescere la parte industriale del Gruppo. Aveva comprato da poco l’Eridania, il più grande produttore di zucchero in Italia, che controllava una percentuale importante della Beghin Say, il colosso francese dello zucchero. In tutti questi anni sono rimasta in silenzio, senza mai reagire alle provocazioni ed allo sciacallaggio mediatico subìto dalla mia famiglia. In tutti questi anni, invece, ci siamo impegnati a tempo pieno, mio marito ed io, per difenderci da 156 capi di imputazione: assolti poi con formula piena. Assoluzione a cui i giornali dedicarono ben poche righe per raccontare l’epilogo delle accuse infamanti, quasi quotidiane e della archiviazione del procedimento fallimentare avviato contro di noi.

Abbiamo evitato così il sigillo infamante del fallimento per tutta la nostra famiglia, nessuno escluso. Adesso sento la necessità di fare chiarezza, non tanto per me, ma in memoria di mio padre e per i miei figli che sono orami adulti. Mio padre – e lo posso affermare senza timore di essere smentita – fu sicuramente uno dei più importanti imprenditori del suo secolo. Lo disse chiaramente anche lo stesso giornalista Cesare Peruzzi quando, nell’agosto del 1979, scrisse che il dottor Serafino Ferruzzi era chiamato negli Stati Uniti ’mister miliardo di dollari’, per poi arrivare, nel febbraio del 1980, ad affermare che il suo patrimonio era valutabile "fra i 3 e 4 miliardi di dollari". Lo stesso Peruzzi che, qualche anno più tardi, riuscendo nella non facile impresa di contraddire se stesso in più occasioni, trasformatosi nel biografo di Raul Gardini, affermò che quando Raul assunse la guida del gruppo … "i Gardini potevano essere più ricchi dei Ferruzzi".

Che vergogna! Ma come! Serafino, un uomo schivo, dalle capacità imprenditoriali straordinarie, un uomo che dal nulla ha costruito con perseveranza e lungimiranza il gruppo Ferruzzi, che nella sua vita non ha commesso un solo errore, un gigante della sua epoca, tra i più importanti e tra i più innovativi imprenditori italiani del suo tempo, degno di stare alla pari di un Enrico Mattei, di un Adriano Olivetti e di un Pietro Ferrero, un uomo così debba essere trascinato in una miserabile contesa tra chi fosse più ricco! Una vergogna! Questo era mio padre!

Senza tutto ciò che ha creato mio padre, Raul Gardini non avrebbe potuto nulla, e dimenticarsi di questo è un insulto. Mio padre temeva il giocatore d’azzardo Raul Gardini, pur considerandolo un ragazzo capace e intelligente. Era ed è sempre stata solo una leggenda che l’avesse indicato come suo erede. Serafino lasciò in eredità il 31% a mio fratello Arturo ed a noi tre sorelle Idina, Franca ed io il 23% di tutte le singole società industriali, commerciali ed agricole, in modo tale che con questa ripartizione azionaria, Arturo ed una qualsiasi di noi sorelle avrebbero avuto la maggioranza per poter tutelare e difendere il patrimonio dell’intero gruppo.

Questa suddivisione ereditaria e impostazione delle relazioni familiari, Raul si è sempre rifiutato di accettarle e più volte ha tentato di far modificare l’assetto ereditario: nel 1985 con l’aumento di capitale nell’Agricola Finanziaria, chiedendo a noi di rinunciare alle nostre partecipazioni dirette nelle varie industrie ed attività, ma apportandole in aumento di capitale per far sì che il mercato potesse partecipare all’aumento di capitale con denaro fresco direttamente nella società; ma ciò, senza avere un preciso obiettivo industriale da perseguire. A questo progetto di spogliazione, mi ribellai ed ottenni l’adesione ad un patto parasociale che permettesse a noi fratelli, soci, di essere informati con anticipo della strategia industriale di Raul Gardini. Purtroppo, fui tradita dai miei stessi fratelli Arturo, Franca e Idina, i quali agirono alle mie spalle. Infatti, dopo aver firmato il patto parasociale, che regolamentava semplicemente i nostri diritti di azionisti, documento che, di fatto, mi costrinse ad aderire all’aumento di capitale, lo rinnegarono come se niente fosse, annullando il patto e invece conferendo a Raul tutti i poteri, lasciandomi così con il ’cerino in mano’; nel 1991, Raul fece il secondo tentativo di modificare gli equilibri ereditari, arrivando al punto di chiedermi che fosse lui a rappresentare i miei figli, all’epoca minori, nel consiglio di amministrazione della Gardini s.r.l., la nuova holding che, secondo il suo progetto, avrebbe dovuto sostituire la Ferruzzi.

Il 10 ottobre 1990 nella sua agendina Raul scrive: "Decisione chiudere di essere Ferruzzi, da ora in poi per me e per i miei figli c’è solo da rimettere… perché questo? perché ora le cose si possono considerare come se fossero in ordine … così come piaceva ai vecchi … da questa posizione per muovere verso un nuovo ordine, ci vuole la gente e la voglia e quindi l’età", dall’agendina sequestrata dal Procuratore di Ravenna.

Non servono commenti. Il suo progetto avrebbe visto distribuire a ciascuno dei figli, per lo più diciottenni, di noi quattro fratelli, il 5% di azioni nella Gardini s.r.l. con diritto di voto. Il resto, ovviamente, avrebbe perso di valore e sarebbe stato distribuito ad un gruppo di top manager, in parte ad una Fondazione ed il resto agli azionisti storici, spogliati però di ogni diritto. A Raul, detentore formalmente solo dell’1% del capitale, sarebbe toccata la guida della nuova società come socio accomandatario? e il potere di nominare in vita il suo successore (il figlio Ivan).

Su questo progetto si consumò la rottura familiare. Ma, in questa dolorosa scelta, noi Ferruzzi non eravamo soli: fummo sostenuti e sospinti dai top manager di tutto il gruppo, che erano esausti per gli atteggiamenti di Raul e per i suoi numerosi errori, come la mancata acquisizione di British Sugar in Gran Bretagna (il maggiore gruppo saccarifero inglese); l’enorme perdita sui futures alla Borsa di Chicago sulla soia; l’acquisizione non studiata, preparata e programmata, quasi casuale di Montedison; l’ostinato e forsennato tentativo di conquistare Enimont; la perdita dell’enorme patrimonio cash lasciato da mio padre nelle mani di Pino Berlini, il contabile che, non soltanto alla morte di Serafino, rispondeva solo a Gardini, ma dal quale non abbiamo mai neanche ricevuto uno straccio di rendiconto. Ed erano soldi di nostro padre, lasciati in eredità ai figli e non a Raul Gardini. E con tutto ciò, si vuole parlare di tradimento nei confronti di Raul Gardini da parte della Famiglia Ferruzzi e, con particolare infamia, del tradimento mio o di mio marito Carlo Sama che abbiamo salvato con il nostro quotidiano impegno tutti dal fallimento, anche i figli di Raul e Idina, Ivan, Eleonora e Maria Speranza, che con il fallimento, in base alle revocatorie previste per legge, avrebbero perso tutta l’eredità di Idina e di Raul, compresi i 505 miliardi di lire che presero da noi, tanto ci è costata la separazione.

Un vergognoso capovolgimento della realtà da parte di persone che non sanno. Sfido chiunque a trovare altri, come noi fratelli Ferruzzi, che hanno subìto tanto avendo dato una così totale fiducia ad un loro parente-manager. Scusa Papà, scusami tanto.