Uno strumento da agguato. Lo scrittore Don De Lillo, che si è sempre rifiutato di possederne uno, definisce così il cellulare. Bob Dylan lo ha bandito dai suoi concerti. Silvio Orlando ha fatto della bonifica in platea una battaglia di civiltà. Ma il nostro tamagotchi querulo, ingordo di aggiornamenti e attenzione, non si arrende. Dopo avere piegato il collo della gente sulla spinta di una mutazione antropologica irreversibile e causato imbarazzo in chiesa, a teatro, ai funerali, ieri ha avuto l’ardire massimo di squillare nell’aula del Senato al concerto di Natale. Atmosfera doppiamente sconsacrata, per il luogo e la circostanza.
E allora ha fatto il bene il maestro Riccardo Muti, interrotto nel mezzo di un discorso dal suono di una notifica, a buttarla in caciara: "Stutatelo ‘sto telefono". Niente come il dialetto napoletano rende l’urgenza dell’imperativo. Niente come l’ironia colpisce i cafoni: "Pensavo che il suono fosse nella partitura". Siamo la razza mutante che ha trovato un modo socialmente accettabile di parlare da sola. Andiamo come zombie per strada fissando uno schermo. E possiamo addirittura guardare le partite in un momento altamente istituzionale. Dove? Sempre ieri, in Senato, dove un parlamentare è stato sorpreso a distrarsi con Roma-Parma. A Palazzo Madama si sono viste gazzarre, risse e malori, ma anche questa giornata di festa fra Beethoven e Bizet nel suo piccolo entrerà nella storia per l’invadenza della protesi dotata di vita autonoma.
Vittima eccellente di uno smartphone è stato anche il maestro Riccardo Chailly, assalito alla Scala da uno squillo durante il Macbeth e agile nella reazione come il collega Muti: concerto interrotto e ramanzina al proprietario del telefonino: "Risponda pure, noi riprendiamo dopo". C’è chi dice che si stava meglio quando mandare messaggi costava cinquanta centesimi ogni due righe e mezzo, però indietro non si torna. A Bologna, in scena con i Ciarlatani, Silvio Orlando ha spiegato la portata di un problema in evoluzione: "Lo squillo è molto diminuito negli ultimi anni, sostituito dal fenomeno altrettanto fastidioso dei messaggi e dai visi che si illuminano in platea". Al cinema lo stesso. E alle comunioni, davanti alle bare.
A ottobre a Parigi Bob Dylan ha chiesto agli spettatori di infilare il prezioso oggetto in una busta sigillata. Nick Cave si è lamentato a Cracovia con le prime file: "Ascoltate: che ne dite di filmarmi tutti adesso e poi mettete via i telefoni?". Chrissie Hynde dei Pretenders invoca la linea dura e i Ghost dell’heavy metal svedese hanno lanciato l’esperienza phone-free. In controtendenza il cantautore Damon Albarn, che mette il cellulare in rapporto alla noia: "Si inizia vietando i telefoni e non si sa dove si finisce. Penso che un musicista debba limitarsi a salire sul palco e fare il suo mestiere. La gente non si distrae se la intrattieni come si deve".