Venerdì 30 Agosto 2024
NICOLA PALMA
Cronaca

L’harem di Adilma, mantide di Parabiago: compagna di Ravasio, moglie di Trifone, amante di Ferretti

Accusata di essere la mente dell’omicidio di Fabio Ravasio, avrebbe convinto gli altri (e suo figlio di 25 anni) a ucciderlo in modo “brutale, freddo, calcolato”: sapendo di lasciare orfani i due figli piccoli

Due foto di Adilma Pereira Carneiro, accusata di essere la mente dell'omicidio del compagno Fabio Ravasio

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“Nulla sembra essere sufficiente per lei: schiava della sua cupidigia, vuole sempre di più”. Non le sono bastate due ville, una casa in Costa Azzurra, una cascina, due auto di grossa cilindrata e una vita agiata da nullafacente. Lei puntava a prendersi tutto. Ecco la mantide di Parabiago nelle parole del gip Anna Giorgetti, che ieri ne ha convalidato il fermo per l’omicidio del compagno Fabio Ravasio, camuffato da incidente stradale con omissione di soccorso. La quarantanovenne brasiliana Adilma Pereira Carneiro, in silenzio davanti al giudice, resterà in custodia cautelare in carcere a Busto Arsizio: nel caso dovesse uscire, c’è il fondato rischio che possa servirsi della dimora francese di Mentone, a due passi dalla frontiera di Ventimiglia, come appoggio provvisorio per espatriare in direzione Sudamerica “con la numerosa prole”, a cominciare dai due figli più piccoli riconosciuti da Ravasio e dai tre gemelli quattordicenni avuti da un precedente matrimonio terminato con la morte per infarto del coniuge.

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Stesso destino per i cinque complici che la donna avrebbe assoldato, secondo il “robusto compendio probatorio” puntellato dalle indagini dei carabinieri della Compagnia di Legnano, per eliminare il cinquantaduenne e impossessarsi delle sue proprietà (compresa la filiale Mail Boxes di Magenta che Ravasio guidava con un socio). Nel provvedimento, il gip ricostruisce i vincoli di “consanguineità, affettività o comunque vicinanza particolarmente intensi” tra i componenti della “squadra di esecuzione”, assemblata per il delitto andato in scena la sera del 9 agosto sulla provinciale 149. Una sorta di albero genealogico dai rami confusamente intrecciati.

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Un inestricabile ginepraio che tiene insieme vecchi legami mai recisi e nuove relazioni clandestine. Prendete la figura di Marcello Trifone, che gli investigatori coordinati dal pm Ciro Caramore hanno collocato sul sedile lato passeggero dell’Opel Corsa assassina: nonostante Adilma convivesse da quasi otto anni con Ravasio (cioè dalla nascita dei figli), risulta ancora formalmente sposata (dall’8 gennaio 2016) con il cinquantunenne, che vive nella magione con piscina di via delle Orchidee a Parabiago (acquistata dalla brasiliana con un prestito di 500mila euro mai restituito ai suoceri) insieme alla figlia maggiore della donna e al fidanzato Fabio Lavezzo.

Fabio Ravasio e Adilma Pereira Carneiro
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Nei giorni immediatamente precedenti alle manette, Trifone – descritto dal giudice come “un uomo senza alcuna propria dimensione e completamente in balìa della donna” – invia a Pereira Carneiro alcuni sms. Lei non gradisce, anche perché è convinta che il telefono sia intercettato: “Cavolo, leggi i messaggi che ti ho scritto! Ma non capisci proprio niente!”, scrive lei. Alla risposta stupita dell’interlocutore, Adilma specifica l’oggetto della questione: “C’è tutto un controllo in corso e tu mi mandi i messaggi d’amore! Ma io non so...”.

Poi c’è Massimo Ferretti, ritenuto il “regista“ delle comunicazioni nel piano diabolico: il quarantasettenne legnanese, l’amante con cui la brasiliana “condivide “incontri di sesso” presso i motel”, è per il giudice talmente succube della mantide da “assecondarla anche in questa discesa agli inferi”. E poi c’è Igor Benedito, accusato di aver guidato l’utilitaria killer che ha falciato il ciclista Ravasio: “È raggelante – riflette il gip – dover constatare che Pereira Carneiro sceglie suo figlio, di appena 25 anni, per fargli porre in essere una condotta ad altissimo impatto umano”.

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Perché lui? Il contenuto di una conversazione tra Adilma e la figlia fidanzata di Lavezzo (che secondo il “palo” Mirko Piazza avrebbe preso parte alle operazioni di occultamento della Corsa col parabrezza sfondato e la targa contraffatta) pare fornire una spiegazione plausibile: “Io sto pensando di dire Igor... di dire quando... adesso no... quando verrà fuori che è stato lui... Lui era con il Sert (Servizio per le tossicodipendenze, ndr), lui poi li mando in comunità... io posso far venire a casa con arresti domiciliari... non posso andare io perché non esco più”.

In questo scenario di devastante malvagità, il giudice non dimentica di dividere le responsabilità della presunta ideatrice con gli altri attori della sceneggiatura thriller: hanno accettato “senza batter ciglio” di ammazzare una persona, contribuendo “con entusiasmo” a compiere un crimine “brutale, freddo, calcolato con crudeltà”.