Sabato 23 Novembre 2024
CHIARA DI CLEMENTE
Cronaca

Addio a Michela Murgia La guerriera dei diritti Anche la malattia vissuta in prima linea

Al suo dramma ha dedicato l’ultima opera letteraria: ‘Tre ciotole’. La scelta del matrimonio come atto politico e testamento civile:. "La mia eredità simbolica è lottare per un altro modello di relazione".

Addio a Michela Murgia  La guerriera dei diritti  Anche la malattia  vissuta in prima linea

Addio a Michela Murgia La guerriera dei diritti Anche la malattia vissuta in prima linea

Addio guerriera. Michela Murgia è morta a 51 anni, stroncata dal tumore ai reni che, aveva rivelato in un’intervista nel maggio scorso, era al quarto stadio, con metastasi "già nei polmoni, nelle ossa, al cervello". Aveva detto, la scrittrice, in occasione del lancio del suo ultimo libro-testamento Tre ciotole, che un’operazione non avrebbe avuto senso, che ha ormai aveva pochi "mesi di vita". Maggio, 6 maggio. Giugno, luglio. 10 agosto. E’ stata di parola Michela, che in questo pochissimo tempo che le era rimasto da vivere ha combattuto come quando era nel pieno delle sue forze, e se possibile anche di più.

Si è sposata, rito civile con Lorenzo Terenzi, a fine luglio, per garantire – velocemente – alla sua famiglia allargata “queer“ tutti quei diritti che altrimenti oggi, domani non avrebbero: ha fatto anche delle nozze un atto politico, scrivendo su Instagram al riguardo: "E se potessi lasciare un’eredità simbolica, vorrei fosse questa: un altro modello di relazione, uno in più per chi nella vita ha dovuto combattere sentendosi sempre qualcosa in meno".

Dalla parte di chi si è sempre sentito "qualcosa in meno". Michela Murgia, con le sue continue prese di posizione sempre dalla parte dei più deboli, è stata vista soprattutto in questi ultimi anni sia come un’eroina in lotta contro ogni pregiudizio patriarcale, iperfemminista, politicamente correttissima sia come la strega invasata che, obnubilata dall’odio per la destra, vedeva complotti anche là dove non ce ne erano.

Secondo chi scrive, lo sguardo della Murgia è sempre stato lucidissimo. Quando ha deciso di sposarsi lo ha fatto solo perché, ha scritto, "lo Stato chiede un ruolo" e "mio marito saprà cosa fare". Paladina della libertà, del diritto dell’autodeterminazione di ognuno – nel sesso, nella società – ha lasciato, in un saggio di Einaudi, Futuro interiore, parole che meritano di essere ricordate in questo momento di grande, vera e profonda commozione: "Esiste una parte della società italiana che è convinta che qualunque cosa chiamiamo diritto esista solo finché non ce lo facciamo portare via da qualcuno più forte di noi. Questa parte di opinione pubblica, che di solito non è quella che deve preoccuparsi della fine del mese, non accetterà mai il principio che i diritti esistono proprio perché un consesso civile non può essere regolato dalla legge del più forte: i diritti sono per definizione diritto dei deboli, perché solo così sono diritti di tutti, ed è attraverso le lotte dei deboli che le società cambiano e crescono, perché i forti non hanno interesse alcuno a modificare lo stato delle cose. Chi ha fatto l’esperienza della marginalità e ha maturato un dissenso organizzato verso questo modo di gestire le fragilità altrui è più pronto a difendere i diritti di chi non ha difese ed è più disposto a immaginare modi di proteggere il tessuto sociale che non passino per l’atto di schiacciare chi fa fatica a rialzarsi".

Nata a Cabras il 3 giugno del 1972, vincitrice dei premi Campiello, Dessì e SuperMondello, autrice del bestseller Accabadora, 2009, romanzo su una filla de anima ovvero una "bambina generata due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità dell’altra", la Murgia ha dato alle stampe nel maggio scorso il romanzo – una serie di storie – Tre ciotole (Mondadori). Nell’ultimo episodio, dal titolo Cambio di stagione, racconta di una donna che si libera dei vestiti della sorella morta con una vendita- spaccio nel giardino di casa: ogni vestito – fors’anche come il vestito per le nozze che ha disegnato per lei Maria Grazia Chiuri di Dior, abito bianco con ricamato in rosso “God save the Queer” – continua a portare in sé qualcosa della persona scomparsa. Alla fine della giornata, la sorella della donna morta "perse quasi subito interesse a memorizzare chi si era portato via" gli abiti. "Mentre il sole scendeva tra gli alberi contò i pochi abiti rimasti e si trastullò con il pensiero magico che non se ne fossero voluti andare".