Giovedì 21 Novembre 2024
REDAZIONE CRONACA

Senso del dovere e responsabilità. Così il Paese supererà ogni frattura

Una nuova idea di Nazione per sanare gli errori di fascismo e sinistra

Il terremoto del '76 in Friuli

Il terremoto del '76 in Friuli

Roma, 18 ottobre 2017 - L’8 settembre 1943 come «la morte della Patria». È il pensiero di intellettuali che individuarono nell’Armistizio un tradimento morale. Per molti, rimasti coerenti con un ideale sconfitto, quel giorno andò in frantumi l’idea di nazione. Ferita mai più rimarginata. Sul desiderio rivelato ieri dal direttore di Qn del padre, Franco Cangini, di indossare la camicia nera nella bara, ospitiamo una serie di contributi. All’articolo di Franco Cardini seguono oggi quello di Luciano Violante, seguito da quelli di Pierluigi Battista, Walter Veltroni, Augusto Barbera, Marcello Veneziani, Marco Follini, Francesco Perfetti. 

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di LUCIANO VIOLANTE

Il 4 marzo 2001 Ernesto Galli della Loggia pubblicò una lettera aperta al Presidente Ciampi, che aveva criticato qualche giorno prima quei teorici che indicavano l’8 settembre come la data della morte della Patria. Il capo dello Stato spiegava che in quella data, in realtà, era nata la patria democratica, quella che aveva vinto la guerra contro il nazismo e il fascismo. Galli Della Loggia replicava con una riflessione necessaria ancora oggi per chi si affacci sul tema della Patria. L’8 settembre costituisce suo avviso solo un punto di partenza analitico; in realtà l’Italia per cinquant’anni era stata “una democrazia senza nazione, senza “patria”. “Caduto il comunismo, concludeva lo storico, tutti i muri sono caduti anche quelli che così a lungo ci hanno separato dalla nostra Patria”.

In pratica la presenza del comunismo aveva impedito la maturazione di una idea di patria e la sua caduta l’aveva invece favorita. Non ho né l’autorevolezza né la competenza per misurarmi con il professor Galli della Loggia. So bene degli scontri, delle contrapposizioni e delle lacerazioni che nei primi anni della guerra fredda hanno caratterizzato la vita democratica. Ma so anche che il partito comunista nel quale io ho militato dal 1979 sino alla sua scomparsa è stato, tra difetti e contraddizioni, che attanagliavano anche altri grandi partiti, una delle garanzie della unità del Paese. 

Negli anni del terrorismo e delle stragi di mafia l’Italia è stata nazione e Patria, anche grazie all’impegno di quel partito. Ed è stata nazione e Patria dopo i terremoti che hanno colpito dal Friuli alla Sicilia, grazie all’impegno di milioni di italiani guidati dal senso di appartenenza non ad una parte, ma ad una Patria comune. Non sono mancati quindi né i partiti né i cittadini che hanno dato forza al senso di Patria. È il fascismo, a mio avviso, che ha ucciso l’idea di Patria facendola coincidere con il partito unico, mascherandola con divise, marce e gagliardetti. E dopo, non raramente, la grande idea di Patria è stata utilizzata nella polemica tra parti politiche e tra mezzi di comunicazione, immiserendola.

Non nego, e sarebbe sciocco farlo, i buchi neri dei quali é responsabile la sinistra: dalla atroce storia del confine orientale, tra le foibe e Porzus, ad una concezione proprietaria della Lotta di Liberazione, sorta come reazione alla dimenticanza nella quale l’avevano relegata le forze che allora governavano, nel timore che ricordare la Resistenza favorisse i comunisti, che invece furono favoriti proprio da quell’accantonamento. Tuttavia c’è qualcosa di più profondo dell’alternativa tra comunismo e anticomunismo se ancora oggi non sempre riusciamo a far prevalere un pensiero-paese sugli egoismi personali o di parte. 

La nostra storia, che ha prodotto più fratture che composizioni, e la tardiva costruzione dello Stato unitario rendono ancora oggi difficile essere nazione e Patria al di fuori dell’emergenza. 

Qui però io vedo una linea di separazione tra la gran parte delle classi politiche dirigenti e la gran parte dei cittadini. I comportamenti di numerosi protagonisti della politica nazionale sembrano approfondire i solchi invece di colmarli. La società è l’insieme delle relazioni che la costituiscono; la politica è l’insieme dei comportamenti nei quali i responsabili politici manifestano le proprie scelte.  La Patria è l’insieme delle storie, dei valori e dei simboli che si possono rinvenire in quelle relazioni e in quei comportamenti; si costruisce ogni giorno, giorno per giorno. Ma la politica non è tutto. Nelle nostre città, nelle nostre strade, milioni di persone ogni giorno sono impegnate a insegnare e a imparare, a curare e a fare ricerca, a produrre beni e a prestare servizi, a negoziare, a mettere in contatto altre persone, a garantire la sicurezza e rendere giustizia, a mettere a punto preziose apparecchiature tecnologiche. Migliaia sono le donne e gli uomini onestamente impegnati ad amministrare il loro comune, con molti sacrifici e poca riconoscenza. 

Tutti loro contribuiscono spesso in modo determinante alla unità del nostro Paese, ad una idea di Patria fatta di attiva operosità. Essi onorano il dovere della responsabilità e hanno il diritto a classi dirigenti nazionali capaci non di imporre ma di proporre un complesso di legami storici, spirituali, emotivi, solidali nel quale ciascuno si possa riconoscere e possa avere un proprio posto. Senza questi legami la Patria vive una esistenza precaria, che può scivolare nella crisi di una collettività frammentata tra individui e gruppi intenti a sopraffarsi per sopravvivere.  Per queste ragioni essere classe dirigente è una delle più gravose responsabilità in una democrazia. Ed essere cittadino responsabile è altrettanto impegnativo.    Non è possibile superare le fratture nella società se la politica e la società non diventano capaci di superare le proprie fratture. Non è possibile chiedere alla società di avere il senso della Patria se la politica non comunica questo sentimento; non è possibile invocare unità, usando parole di divisione. Né è possibile costruire la Patria nella società se i cittadini non riconoscono le proprie responsabilità e non vi fanno fronte. Tutto questo presuppone un’etica civile valida per tutti, fondata sul senso del dovere e della responsabilità che è consapevolezza del proprio ruolo nella società e coerenza tra queste responsabilità e i propri comportamenti.  Nel senso del dovere e della responsabilità vedo il presupposto di una nuova moderna idea di Patria.