Romagnese (Pavia), 24 aprile 2024 – “Dell’Italia di oggi non posso lamentarmi. Non lamentiamoci. Una cosa che non mi piace è il menefreghismo, il tralasciare le cose. Io e gli altri, quando è stato il momento, non ci siamo voltati dall’altra parte". La neve ha imbiancato le alture dell’Oltrepò Pavese, la temperatura si avvicina allo zero. Qui Enrico Mutti è Rino. Vive con la moglie a Bregni, frazione di Romagnese. Ha novantotto anni e un numero infinito di memorie della vita partigiana. Con tutta probabilità è l’ultimo sopravvissuto della battaglia del Penice, uno dei combattimenti più lunghi e cruenti. Ricorda con accanto Antonio Magri, studioso della guerra nell’Oltrepò. "Nel 1944 avevo diciotto anni quando è arrivata la chiamata alle armi nella Repubblica sociale, quella di Mussolini. Obbligo di presentarsi, pena la fucilazione. Io e Crotta, un mio vicino di casa, eravamo in piazza a Romagnese, stavamo per entrare in Comune. Sono comparsi dei giovani, sembravano degli sbandati, invece erano partigiani della banda del Greco, Andrea Spanoyannis. Hanno fatto irruzione in municipio e hanno bruciato tutto, comprese le nostre cartoline precetto. Già non volevo andare con i fascisti. Così sono diventato partigiano". Mutti ha preso un nome di battaglia: Leda. Nessun riferimento alla regina di Sparta che secondo la mitologia fece innamorare Giove che per sedurla si mutò in cigno. Un giorno un suo compagno, sbagliando, chiamò Rino con quel nome, imitato da altri. Gli piacque e se lo tenne. Agosto 1944. Sono circa cinquemila gli uomini impegnati in un’azione offensiva e di rastrellamento nelle province di Genova, Alessandria, Pavia e Piacenza, tedeschi della Wermacht, italiani della divisione Monterosa, addestrata in Germania dopo l’armistizio dell’8 settembre ‘43, la legione Turkestan, la cosiddetta nazi-mongola, formata anch’essa in Germania. Il 26 agosto un contingente di un migliaio di uomini parte da Varzi con l’intento di raggiungere il Passo del Penice e di scendere su Bobbio, dove è stata proclamata una Repubblica. Il 27 agosto lo scontro passato alla storia come la battaglia del Penice. "Ero – rievoca Rino Mutti – sul Monte Alpe, a ridosso del Penice, alla località Tre Passi. Abbiamo combattuto per quasi un’intera giornata prima dello sfondamento. Non avevamo armi pesanti. C’era chi era armato del suo fucile da caccia. Pian piano quelli sono arrivati alla vetta". Una ricorrenza, quella del 25 Aprile, che ogni anno divide e attizza polemiche. "Per me è un giorno di festa. Ho sempre festeggiato e grazie a Dio sono ancora qui per farlo. Anche quest’anno vado a Romagnese a portare la bandiera. È la festa della nostra vittoria e con noi ha vinto la democrazia. Non saprei cosa dire a chi non è d’accordo, oltre a dirgli che sbaglia. Anzi, gli farei una domanda: tu hai mai conosciuto una dittatura? Io sì, ci sono nato e ci sono vissuto anche se fortunatamente solo per pochi anni". E se il partigiano Rino tornasse a essere il diciottenne di allora, rifarebbe quello che ha fatto? "Rifarei tutto. E forse anche qualcosa di più".
Cronaca25 Aprile, il sorriso del partigiano: "Rifarei tutto, anche di più"