Firenze, 15 luglio 2013 - Gli insulti di carattere razzista rivelano sempre una “inequivoca volontà di discriminare la vittima del reato” e per questo, in casi del genere, va sempre contestata l’aggravante della discriminazione e dell’odio razziale prevista dalla legge Mancino. Lo afferma la quinta sezione penale della Cassazione, confermando gli arresti domiciliari disposti dal tribunale del riesame di Firenze nei confronti di un 27enne accusato di lesioni personali aggravate dalla finalità di odio razziale commesse nel corso di un'aggressione ai danni di due cittadini extracomunitari di origine magrebina.
L'uomo si era difeso lamentando l'insussistenza dell'aggravante contestata: nel suo ricorso, rilevava che non vi erano elementi "in grado di comprovare che l'aggressione fosse stata perpetrata per finalita' di discriminazione", poiche' gli "epiteti dispregiativi della razza delle persone offese" ("Sporco negro", "St...o negro", pronunciate, secondo l'accusa, durante l'aggressione) fossero in realta' "generici insulti". La quinta sezione penale della Suprema Corte, invece, con una sentenza depositata oggi, rileva che "qualora l'agente nel commettere il reato scelga consapevolmente modalità fondate sul disprezzo razziale deve ritenersi che lo stesso persegua la finalità che caratterizza l'aggravante in questione a prescindere dal movente che ha innescato la condotta e che può essere anche di tutt'altra natura". Dunque, secondo i supremigiudici "l'aggravante sussiste allorquando risulti che il reato sia stato oggettivamente strumentalizzato all'odio o alla discriminazione razziale".
L'aggravante prevista dalla legge Mancino, infatti, "è configurabile quando essa si rapporti ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, quando cioè, si spiega nella sentenza - l'azione si manifesti come consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, nel contesto in cui e' maturata, avuto anche riguardo al comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l'origine etnica o il colore e cioè di un sentimento immediatamente percepibile come connaturato all'esclusione di condizioni di parita'". Nel caso in esame, dunque, "il ricorso a frasi come 'Sporco negro' o 'St...o negro', con cui l'indagato e il suo complice avrebbero accompagnato la condotta violenta addebitatagli, al di là dell'intrinseco carattere ingiurioso che le medesime frasi assumono - conclude la Cassazione - denota l'orientamento razziale dell'aggressione e ovviamente della connessa ingiuria". Nell'ordinanza cautelare, ricordano gli 'ermellini', si evidenzia che "la stessa aggressione fosse stata promossa con il chiaro intento di allontanare dalla zona i cittadini extracomunitari che vi soggiornavano proprio in ragione della loro identita' razziale".
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