Che farsi imbarcare nella scialuppa del centrosinistra non fosse stata una buona idea per Azione lo avevano sostenuto in molti. Dopo alcuni giorni di osservazione e riflessione, se ne è convinto lo stesso Carlo Calenda. Così, ieri, alla trasmissione di Lucia Annunziata, ha annunciato il venir meno dell’accordo con il Pd di Enrico Letta.
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Non vale la pena soffermarsi sull’acceso dibattito che ne è seguito. Vale invece la pena chiedersi cosa questo comporterà. Per quanto riguarda il risultato finale, stando a quello che ci dicono studiosi e sondaggisti, probabilmente alcuni seggi in più a una destra comunque vincente. Tuttavia, non abbastanza da permettere al trio Meloni, Salvini e Berlusconi di ottenere una maggioranza sufficiente a cambiare la costituzione senza la spada di Damocle del referendum costituzionale.
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Per quanto riguarda l’offerta politica, invece, il cambiamento è significativo. Esiste un’Italia che non ama le sirene del populismo, i suoi messaggi grossolani e semplicistici, sovente violenti e discriminanti verso persone e gruppi. Un’Italia che non intravede dietro al vociare della destra radicale un plausibile programma di governo. Ma un’Italia che, al tempo stesso, non si riconosce in una sinistra che tra immobilismo e attaccamento alle reti di potere non difende più gli interessi di nessun gruppo sociale se non i propri. Quell’Italia non ha rappresentanza. Il partito di Calenda aspira a colmare questo vuoto. Nel sistema attuale è molto difficile. Certo è che, soldato tra tanti, raccolto per strada, di un’armata Brancaleone, non avrebbe nemmeno cominciato, impossibilitato a darsi un’identità e costretto a giustificare i più strani compagni di strada. Ora avrà forse l’occasione di forgiarsi e mostrarsi in una campagna elettorale non facile. Un inizio. E una potenziale ricchezza nell’inaridito sistema politico italiano.