Ricordate il 1968? Dinanzi agli studenti che protestavano, il potere finse accondiscendenza: regalò le assemblee, i consigli delegati, la partecipazione alle scelte didattiche. I potenti continuarono, invece, a rovistare nel torbido gridando al mondo che i moti del maggio studentesco erano un fallimento. Iniziarono allora gli anni oscuri della seconda metà del Novecento: un periodo di terrore e di quotidiano smarrimento. Per me non fu la coda violenta del tracollo sessantottino la causa del disastro, ma l’arroganza con cui il potere si autorigenerava; la sordità con cui gli interessi s’ingigantivano, consapevoli che tutto avesse un prezzo.
Pagando si potevano infiammare le teste già calde, infiltrare stragisti tra chi nutriva sogni rivoluzionari, far calare il silenzio sui misfatti compiuti per destabilizzare. Oggi camminiamo tra venti di tempesta e uragani mediterranei, regioni che si sciolgono sotto a piogge torrenziali e ghiacci perenni che hanno lo spessore di un velo. Come si comportano i potenti? Prendono una bambina, la fanno parlare dinanzi all’assemblea delle Nazioni Unite, la fanno sedere vicino ai tavoli dei bottoni. Le dedicano copertine patinate e poi, quando si tratta di ammettere che amministriamo questo mondo per procura ricevuta dai nostri figli, si dimenticano di Greta e del suo piglio. Fanno orecchie da mercante sulle cappe asfissianti che gravano sul nostro vivere. Si scordano delle onde di burrasca, delle frane sulla testa, delle piogge torrenziali e anche di Venezia che affonda.
C’è solo da augurarsi che chi protesta sia talmente occupato a galleggiare tra le alluvioni da non fare di peggio. Eppure i presupposti per un nuovo periodo oscuro ci sono tutti con l’aggiunta, oltre al malcontento, di questa cappa malsana. Tutto avviene in nome di un’idea desueta di progresso: diventare non è accumulare risultati economici positivi a ogni costo, ma vivere e fare vivere le generazioni che verranno in un mondo abitabile. Ne hanno ogni diritto e, esulando dai contentini di facciata, noi abbiamo il dovere di ascoltarli. Siamo ancora in tempo per cambiare rotta. Accontentare le loro volontà equivale a soddisfare le nostre aspirazioni. In caso contrario non affonderà solo Venezia, ma tutti i sogni con i quali li abbiamo benedetti mettendoli al mondo.