La dotta rivista dei Gesuiti, Civiltà Cattolica, pubblica una originale analisi su Brexit, definita «il labirinto inglese», ricostruendo i da sempre complessi rapporti fra il Regno Unito e il continente europeo. Lo stesso Winston Churchill, alla fine della Seconda guerra mondiale, aveva sostenuto che per assicurare la pace occorreva costruire gli Stati Uniti d’Europa, senza però includervi il Regno Unito. Nel 1957, quando l’integrazione comunitaria mosse i primi passi, la Gran Bretagna ne rimase fuori e promosse una diversa «associazione europea di libero scambio» con altri Stati, per favorire la libertà di commercio senza creare istituzioni comuni e per continuare in qualche modo ad amministrare il suo vecchio impero – che non era ormai più tale – tramite il Commonwealth.
La crisi del canale di Suez del 1956 inflisse un’umiliazione economica e politica alla Gran Bretagna e favorì taluni ripensamenti che si svilupparono dopo la morte del presidente francese De Gaulle, contrarissimo all’ingresso del Regno Unito nelle istituzioni comunitarie. La Gran Bretagna negoziò con la Comunità Europea degli anni ’70 una particolare partecipazione, che le ha permesso per decenni di farvi parte con diversi privilegi. La recente crisi economica, finanziaria, industriale e morale ha spinto i paesi europei a rafforzare l’integrazione, mentre molti britannici se ne sono allontanati. Ora sono esplose le contraddizioni di questa partecipazione parziale e privilegiata del Regno Unito alle istituzioni europee: la Gran Bretagna non riesce in se stessa a trovare un accordo che le permetta di realizzare un’uscita rapida, semplice e con limitati danni economici.
La Banca d’Inghilterra ha conteggiato i costi dell’ipotesi di ‘Brexit dura’ cioè dell’uscita del Regno Unito senza un accordo con l’Unione Europea: li valuta in una caduta del Pil del Regno Unito dell’8%, cioè 57 miliardi di euro all’anno. Anche l’Ue ci rimetterebbe, rimanendo priva di un membro rilevante, con una perdita di ricchezza calcolata in 40 miliardi di euro all’anno: 10 per la Germania, 8 per la Francia e 4 per l’Italia. Appare complesso trovare una via d’uscita da questo labirinto prodotto dal referendum. Ci riusciranno il nuovo governo del Regno Unito e le rinnovate istituzioni dell’Ue?