Ah, il Binotto-gate!
Avra’ presto nuovi sviluppi.
Come primo effetto, ha qui imposto lo slittamento della ormai tradizionale rubrica del mio badante, l’ottimo ingegner Duchessa.
Recuperiamo sotto.
Buona lettura.
Vengo dopo il GP
In Brasile, a un anno di distanza, la Mercedes è tornata alla vittoria – anzi alla doppietta – spezzando il filotto della Red Bull. Proprio a San Paolo curiosamente ha replicato il dominio tecnico nel 2021, sebbene in forme molto diverse da allora. Un anno fa la potenza fece la differenza mentre domenica è stata più una combinazione di fattori che ne hanno agevolato il compito. In ogni caso è un segnale di forza interessante che regala a tecnici e piloti la soddisfazione di vedere ripagati importanti sforzi.
Interlagos ha mostrato quello che da qualche gara si stava intravedendo abbastanza nitidamente. Una W13 sempre meno lunatica, sempre meno sensibile alle sconnessioni e ai cordoli, molto efficace nei curvoni lunghi cioè quelli in appoggio. Questo significa che l’auto viaggia più bassa in maniera costante, con il duplice beneficio di aver leggermente diminuito il drag e aumentato il carico.
Il pacchetto di aggiornamenti introdotto ad Austin (fondo, ala anteriore) ha funzionato e a sbloccato – secondo i tecnici – ulteriori 3 decimi che si sono sommati ai 4 decimi riguadagnati dopo l’introduzione della TD39 (sommati a quelli persi dai rivali).
Altri 2 decimi si possono infine ottenere tramite una maggiore comprensione complessiva. Il fatto che ieri il team di Brackley sia stato quello che abbia interpretato meglio di tutti le mescole è l’indicazione più importante. Anche meccanicamente, si vede come Hamilton e Russell mostrino ora più aggressività, molta facilità nell’inserimento in ogni fase di utilizzo. Di sicuro, adesso che si stanno divertendo, saranno gli unici ad essere dispiaciuti che le gare sia quasi finite.
Per Red Bull un weekend tecnicamente insolito, condito da tafferugli interni.
Il team campione del mondo è apparso sottotono, con un set-up definito piuttosto leggero sulle gomme, cosa che ha limitato l’azione di recupero di Verstappen dopo il contatto con Hamilton. Perez era probabilmente il meno veloce dei sei piloti di testa. L’aumento delle temperature tra sprint e gara non ha compensato queste lacune.
Piuttosto strano il clima tra Verstappen, Perez e il team, ognuno con le sue ragioni ma è qualcosa che sta incomprensibilmente inquinando una stagione fenomenale. Visto che andiamo ad Abu Dhabi forse Max farebbe bene a ricordarsi cosa fece il messicano lì un anno fa. Certamente non una grande immagine offerta.
Il momento Ferrari
Ferrari ha tutto sommato massimizzato il risultato ma resta sotto tiro di Mercedes per il secondo posto costruttori. Un altro weekend non pulito, tra l’errore in qualifica che a molti ha ricordato Suzuka quattro anni fa e gli ormai abituali episodi sfortunati in gara.
Ciononostante nessuno ha puntato il dito all’interno del team, e su questo tema occorre partire da più lontano.
Mattia Binotto è alla quarta stagione da team principal della Ferrari, la stessa durata dell’incarico affidato ad Arrivabene, il suo predecessore. Entrambi finora hanno raccolto come miglior risultato un secondo posto nella classifica costruttori. In entrambe le epoche – finora – essere in lotta per il campionato è rimasto un sogno svanito troppo presto. Nel 2018 ci fu una lotta, non dichiarata, per la conduzione del team. È noto che Marchionne prima di andarsene improvvisamente, scelse il tecnico Italo-svizzero come capo della GeS. Ovviamente ne lui ne i vertici della proprietà avrebbero potuto immaginare un addio così brutale quanto tragico. Dopo la sosta estiva di quel 2018 la partita era di nuovo aperta poiché era evidente che il neo presidente Elkann non disponeva degli elementi utili e dell’esperienza necessaria sul campo per dare immediatamente seguito a una scelta di riorganizzazione di una macchina complessa come la Gestione Sportiva. A caldo dopo le qualifiche di Suzuka Arrivabene fece una sparata contro il team per aver toppato la scelta delle gomme.
Ma la cosa grave è che la fece come se fosse uno che passava lì per caso, un osservatore qualunque, esterno al team. Probabilmente fu qualcosa che mostrò al più alto livello della dirigenza (e al più basso) come non potesse essere adeguato al ruolo.
Binotto prese l’incarico nel gennaio 2019, in un momento che ricordiamo coincise con decisioni importanti sul fronte tecnico regolamentare. Si stava decidendo come sarebbero state le auto del futuro in F1.
Il 2019 è stato un buon anno, non certo all’altezza di Hamilton e della Mercedes, tuttavia aver impostato il futuro della squadra con il rinnovato entusiasmo portato dalle prestazioni di Leclerc sembrava regalare un certo ottimismo. Il 2020 era stato messo in conto come una stagione sacrificabile per azzerare alcuni ritardi tecnici. La direttiva tecnica a seguito dell’accordo con la Fia ha distrutto quella stagione prima di iniziare. La SF1000 non era una grande vettura, ma fu il gap motoristico che la rese tra le peggiori della storia recente.
Dopodiché la pandemia – con un sincronismo da incubo – ha ritardato di un anno la svolta regolamentare, prolungando l’agonia.
Questa stagione della Rossa è difficile da spiegare a chi avesse assistito alle prime 5 gare della F1-75 per poi tornare in Belgio. Ufficialmente si ritiene la famosa Direttiva tecnica 39 “trascurabile” perché ha afflitto tutti. Tuttavia – sin dalla prima ora – abbiamo segnalato ripetutamente come i dati fossero troppo chiari per liquidare la questione. Ma non è questo il punto ed è bene essere chiari: Ferrari ha perso le chance mondiali per una affidabilità precaria che si sta cercando di implementare in maniera significativa per l’anno prossimo. Non è più un mistero che la power unit di Maranello non abbia girato mai al livello di potenza massimo. Probabilmente stiamo parlando di 25/30 cv, ovvero 6/7 decimi.
Binotto ha ammesso candidamente che lo sviluppo aerodinamico è stato congelato.
A quanto appreso, sono stati sacrificati 3/4 decimi di sviluppo sulla attuale monoposto a beneficio della nuova vettura. La 675 disporrà di alcuni importanti miglioramenti e su molte aree. L’obiettivo è tornare ad avere molto più carico per riallargare le opzioni di set-up più ottenere tutta la potenza disponibile per cui è stata pensata la Power Unit. Se questi target verranno centrati non c’è ragione per non ritenere di avere una lotta a tre dopo l’inverno.
Cambiare chi? Forse meglio dire cambiare cosa.
Molto spesso quando si perde si finisce per inquadrare un solo colpevole, sacrificandolo. È una tentazione comprensibile, raramente si rivela giusta, spesse volte sommaria. Di più quando si tratta di Ferrari.
Di sicuro alleggerisce la pressione per un po’, almeno fino al prossimo sacrificabile.
Nel frattempo aumentano voci distorte su cambiamenti, ancora di più quando l’illusione porta a sentirsi ancora più delusi.
Una volta a Maranello sarebbero venuti in ginocchio. Una volta, prendevi un Ross Brawn e gli davi le chiavi del box. Adesso non è così semplice neanche far arrivare ingegneri di livello. Meglio allora stare attenti a riparlare grossolanamente di epurazioni di alcuni profili. Gli stessi profili che poi fatalmente abbiamo ritrovato collocati in ruoli che hanno complicato – o complicano – la vita alla stessa Ferrari.
Binotto e la piramide della GeS questo lo sanno. Al tempo stesso immagino sappiano fin troppo bene che il tempo non stia migliorando certe dinamiche. Pertanto è lecito attendersi interventi, a tempo debito.
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