35 anni senza il Drake.

Ho parlato della ricorrenza con Luca Cordero di Montezemolo.

Ecco il testo della nostra conversazione, come appare oggi, giovedì, sulle colonne del Resto del Carlino, Giorno e Nazione.

Buona lettura.

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“Enzo Ferrari è stato uno dei pochi fuoriclasse italiani del Novecento. E conoscerlo è stata una delle fortune della mia vita…”
Luca Cordero di Montezemolo e il Drake. A ferragosto del 1988, trentacinque anni fa, calava il sipario su una storia irripetibile. Quella di un uomo che dal niente creò un mito.
“Ferrari è stato unico -mi dice l’Avvocato- Ha conquistato il mondo sempre restando fedele alle sue radici, alla sua terra”.
E oggi in Borsa la sua azienda da sola vale più di tutta Stellantis, cioè di Peugeot, Citroen, Opel, Fiat e Chrysler messe assieme.
“Immagino gli farebbe piacere, fermo restando che lui guardava non ai dividendi ma al futuro della fabbrica. Anche l’accordo con Gianni Agnelli nel 1969 non lo fece per puro interesse, bensì per garantire il domani del marchio, dei dipendenti dell’indotto”.
Come entrò nella sua vita?
“So che in molti pensano ad una raccomandazione di Agnelli. Invece dipese da una telefonata che io feci a un programma di Radio Rai. Era il 1972, la Ferrari andava male in F1 e il Commendatore era subissato di critiche, anche ingiuriose. Io ero un giovane tifoso, intervenni in diretta per difenderlo. Lui mi senti’, mi chiamò e mi offrì il ruolo di team principal, anche se allora si diceva diesse. Avevo 25 anni e zero esperienza. L’uomo era così, lungimirante e coraggioso”.
Aveva già fatto la stessa cosa a livello tecnico con Forghieri, dieci anni prima.
“Mauro mi manca tantissimo. Era un genio, mica solo un ingegnere. E mi lasci aggiungere che con lui e con Piero, il figlio del Vecchio cui voglio molto bene, ho vissuto momenti bellissimi”.
A proposito di momenti, permetta un inciso: in F1 la Ferrari va male adesso come mezzo secolo fa.
“Sa cosa mi dispiace? Che si festeggi per un terzo posto, tipo Spa. Questo non è da Ferrari e il Vecchio non lo avrebbe accettato. Mai”.
Scusi, lei Leclerc lo terrebbe oltre il 2024? E da ex dirigente Juve prenderebbe Lukaku?
“Lukaku neanche in foto, ha pure fatto perdere la Champions all’Inter. Charles invece certamente lo confermerei, è bravo e non credo siano liberi piloti più forti di lui. Ma nel presente chi guida la Rossa è l’ultimo dei problemi. Io da presidente avevo costruito un Dream Team, da Schumi a Todt, da Brawn a Byrne…”
Oggi invece…
“Guardi, da tifoso sogno una Ferrari non che vinca sempre, ma che lotti per il titolo fino all’ultima gara. Come nel 1997, nel 1998, nel 1999, nel 2008, nel 2010, nel 2012. Perdere si può, ma da protagonisti, non da comparse”.
Senta, ma John Elkann, il presidente di oggi, le chiede mai un parere, un consiglio?
“Zero. Niente. Mai sentito”.
Forse è meglio se torniamo a parlare del Fondatore.
“Ferrari mi ha insegnato tantissimo. Ad esempio, a non accontentarsi mai. Dopo una vittoria, lui pensava subito alla prossima gara”.
Con Lauda rigeneraste insieme la leggenda del Cavallino.
“In verità la prima scelta di Enzo per il 1974 era un francese, Jarier. Ma avevamo già preso Regazzoni e fu Clay a dirci di puntare su Niki, suo compagno alla Brm”.
Poi il ticinese si pentì.
“Cosa vuole, Niki era un fenomeno e andava più forte”.
Com’era vivere a contatto con una Leggenda come il Drake?
“Impegnativo! Ad esempio Enzo odiava le ferie, ad agosto mi teneva in ufficio, non sopportava che la gente andasse in vacanza. Ma era anche un tipo divertente. La sa quella del telefono?”
Sentiamo.
“Ferrari diceva che in ufficio stavo sempre attaccato alla cornetta a parlare con belle donne. Così una mattina mi fece trovare un enorme telefono di colore rosa sulla scrivania. E quando gli presentai Edvige Fenech commento’: è decisamente più intelligente di te”.
Intuisco che tra voi c’era un legame vero.
“Vede, Enzo dopo un Gp vinto chiamava sempre la mia mamma, che era emiliana come lui. E non scordo il suo ringraziamento commosso quando con Lauda nel 1975 riportammo il titolo a Maranello. La verità è che molti parlano di lui senza averlo nemmeno conosciuto. A me fece capire che la Ferrari è un sentimento, è un valore umano e sociale sul suo territorio, è un simbolo della ricerca e della innovazione. Da presidente, tra il 1991 e il 2014, ho cercato di essere fedele alla sua lezione”.
Un difetto?
“Non ho mai compreso perché da prima della Seconda Guerra mondiale non volle più mettere piede a Roma. Nel 1976 mi sposavo, lo invitai, niente da fare, l’Urbe non la voleva più vedere. Chissà…”
Chissà cosa?
“A volte penso che se ci fosse stato Italo, il mio treno, al matrimonio sarebbe venuto…”