Come immagino sappiate, Lewis Hamilton ha tagliato il traguardo dei 40.
Non gli manco di riguardo segnalando che in ottobre la Ferrari rischia di diventare…maggiorenne: saranno passati 18 anni da quando un pilota di Rosso vestito si laureò campione del mondo.
Il tempo è stato galantuomo con il mio amico Kimi: adesso persino i detrattori di Raikkonen riconoscono che fu lui l’ultimo aedo di una fase epica.
Per inciso: la più bella nella leggenda del Cavallino, durata dal 1999 al 2008 compreso.
Sommessamente io credo che il Baronetto sia consapevole della sfida che gli si para davanti. Alonso ha fallito. Vettel ha fallito. Leclerc ancora non ce l’ha fatta. A parer mio non è stata colpa loro, così come tra Scheckter e Schumi non fu colpa di Alboreto, di Prost, di Mansell, di Alesi…
Alle strette: personalmente ammiro il Lewis Hamilton influencer, come dicono quelli bravi. Rispetto e condivido non poche delle sue battaglie socio culturali.
Ma poi.
Poi, stop.
Da quando si calerà nell’abitacolo della Rossa, prima vecchia e poi nuova, conterà esclusivamente il driver.
Immagino Lewis sia consapevole di giocarsi non una fetta di mito, nessuno potrà toglierlo dalla lista dei Grandissimi. Qui non è in discussione il curriculum. Qui c’è semmai da scongiurare l’effetto Boomerang.
Mi spiego. La sta toccando con mano, l’enorme aspettativa. In giro, sul territorio, su Sky, a Radio24, mi chiedono di lui. Solo di Lewis.
Non sto per scrivere una bestialità, bensì la verità: c’è lo stesso senso di attesa che accompagnò l’arrivo di Schumi, all’alba del 1996.
È passata una vita. Anzi, per dirla con Mengoni, due vite. E siamo un’altra volta in mezzo al deserto. Ad aspettare il miracolo.
Hamilton 40.
Raikkonen 18.
“Colui che impara deve soffrire. E anche nel nostro sonno, un dolore che non può essere dimenticato cade goccia a goccia sul cuore, e nella nostra stessa disperazione, contro la nostra volontà, la saggezza ci viene dall’orrenda grazia di Dio.” – Eschilo
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