Premessa.
Raccontare per immagini una vita tanto tortuosamente complessa come quella di Enzo Ferrari è impossibile.
L’uomo, come mi è spesso capitato di dichiarare, era un mix tra Luce e Tenebre. Chi ha amato la saga di Guerre Stellari, beh, è vagamente autorizzato a pensare ad Anakin Skywalker, che fu anche Darth Fener.
Dunque ha fatto bene Michael Mann, il grande cineasta hollywoodiano, a dedicare il suo biopic sul Drake ad un anno solo della vita del personaggio.
Il 1957. Dino è appena morto, l’altro figlio Piero sta crescendo, l’azienda di Maranello è in bilico tra sogno e disperazione.
Insomma, ho visto il film, finalmente.
Non sono un critico cinematografico. La mia è semplicemente una testimonianza da spettatore. Vale, ovviamente, come quella di ognuno di voi.
Ci sono, nell’opera di Mann, inevitabili concessioni al melodramma, che peraltro Ferrari amava profondamente. Ma l’esistenza di Enzo fu, davvero, romanzesca. Nel bene e nel male: il Drake non era un santo e nemmeno pretendeva di esserlo.
Adam Driver, nei suoi panni, è semplicemente pazzesco. Comprendo l’irritazione del bravissimo Pier Francesco Favino, ma l’attore americano è meraviglioso nel rendere persino le sfumature di Enzo, la gestualità, l’oscura ossessione per le corse e bla bla bla.
Poi, certo, è un film. Certi dialoghi fanno molto soap opera. Il rischio banalizzazione sta sempre dietro l’angolo.
Eppure, tutto sommato il film non è troppo distante da una verità cinematograficamente accettabile. Del resto, le scene “agonistiche” sono realizzate con una cura degna di altri capolavori di Michael Mann (penso a “Heat”, uno dei miei cult). E l’omaggio alla mia terra, alla modenesita’ cui tengo tanto, è persino commovente.
Credo che tornerò a vederlo, il Ferrari che fa venire in mente Darth Fener.
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