L’assassino venne trovato, alle 12 in punto, sarebbe a dire nel momento esatto della chiusura dei cancelli, inginocchiato nel cimitero di Malsch, 70 chilometri precisi da Heidelberg, sarebbe a dire sostanzialmente non troppo lontano dal luogo del delitto. E, per di più, non molto tempo dopo il fatto di sangue.

Nell’ammanettarlo, l’ispettore Dirk Wagner lo fissò dritto negli occhi e lesse così, in quello sguardo perduto, ciò che credette essere la vera storia di herr professor Klaus Kuhn, 66 anni, docente di filosofia in servizio – per scelta autonoma nonché originale – al “Liceo Thomas Mann” di Malsch, visto che all’Università di Heidelberg lui, herr Kuhn, mai e poi mai ci avrebbe messo piede. L’aveva giurato a se stesso: “Non andrò mai a Heidelberg: la grande città porta grandi dolori”. Così era solito ripetere anche ai suoi studenti. E come massima filosofica, in fondo non era granché, pur conservando un fondo di sostanziale veridicità.

Non fu solo dallo scrutare nel pozzo profondo delle pupille di Kuhn che Wagner ricavò elementi per la propria, in questo caso apparentemente elementare, indagine. In paese ne parlavano tutti da tempo. E anche ora, a fatti avvenuti, non c’era motivo di tacere, o rischio alcuno nel farsi avanti. Insomma ognuno, a Malsch, ovvero ciascuno dei 14.537 abitanti di questo paese a 70 chilometri esatti da Heidelberg, pareva morire dalla voglia di dire la sua, “in ossequio alla giustizia”. E il fatto straordinario era che le versioni dei più coincidevano: tra il professor Kuhn e Bodowin Pfeiffer, la vittima, vent’anni meno del suo carnefice, non correva buon sangue, se l’espressione può essere consentita in presenza degli attuali sviluppi.

Pfeiffer era stato accoltellato al cuore nel Philosophengartchen, il giardino dei filosofi, alla fine del Philosophenweg, il sentiero dei medesimi, a Heidelberg naturalmente, con un colpo talmente preciso e determinato nell’obiettivo, che il palese significato fu tanto evidente da sfuggire alle perizia dell’ispettore Wagner, più avvezzo alla prassi che alla speculazione teorica. In fondo, a sua discolpa, e a salvaguardia di una rispettabile carriera, si può dire che fuorvianti furono le testimonianze raccolte.

Tutti, ma proprio tutti i testimoni scelti fra i 14.537 residenti ufficiali di Malsch, (meno i due protagonisti di questa storia, naturalmente), tutti all’unisono furono pronti a giurarlo: herr professor Kuhn e herr (semplicemente) Pfeiffer, promotore finanziario a Heidelberg, mestiere alquanto lontano dalla filosofia, non si potevano vedere. “Questione di vicinato – dissero – E di quell’oleandro che sporgeva troppo dal giardino di Kuhn su quello di Pfeiffer”. “O di Pfeiffer su quello di Kuhn”. I testimoni non ricordavano bene. Ma ogni dichiarazione ufficiale non bastava a spiegare, in maniera esauriente, quanto sangue cattivo in effetti, cattivo quanto lo è sempre anche la morte, attraversasse impetuoso le vene dell’uno e dell’altro, poiché non esiste spiegazione più giusta – per un delitto irrazionale – di una ragione inspiegabile.

Vai troppo spesso a Heidelberg”, furono le parole che un teste, forse l’unico attendibile, sentì un giorno uscire dalle labbra di herr professor Klaus Kuhn dirette alla consorte Ingrid Engels, pronunciate – per puro caso – sotto il già citato oleandro. Ma, sfortunatamente, la circostanza non finì mai nel fascicolo investigativo dell’ispettore Dirk Wagner, per il semplice fatto che il testimone in questione si dimenticò di riferirla. Disattenzione che involontariamente (ma irreparabilmente) danneggiò la completezza (e la veridicità) delle indagini.

Wagner sospettò fin dal primo momento del professor Kuhn. Sapeva che un uomo si differenzia dagli altri animali soprattutto in una circostanza: quando uccide un proprio simile. In queste situazioni gli animali, per ammazzare, hanno bisogno di un motivo concreto, la fame o l’istinto di sopravvivenza, ad esempio. Gli uomini no, possono togliere la vita anche solo per un risentimento. Un “futile motivo”, come capita di leggere nei rapporti di polizia giudiziaria. Al magistrato incaricato del caso, l’ispettore Wagner spiegò che le testimonianze raccolte sui dissapori di vicinato, nonché sulla questione dell’oleandro, che invadeva il giardino di questo o di quello (non ricordava bene), erano degne di fede e, in sostanza, attendibili.

Non andava mai a Heidelberg”, disse al giudice l’ispettore Wagner. “Non gli piaceva”, aggiunse. Ma poi concluse: “Solo una volta fece quel viaggio: la prima e l’ultima”. E spiegò che la mattina del delitto herr professor Klaus Kuhn aveva lezione al liceo ‘Thomas Mann’ alle 11.45. Testimoni lo videro uscire da casa alle 10.11. L’autopsia stabilì con sorprendente precisione che il promotore finanziario Bodowin Pfeiffer venne ucciso nel Philosophengartchen con una coltellata al cuore alle ore 11, forse un paio di minuti in meno. “Occorrono 47 minuti per andare da Malsch a Heidelberg. E, naturalmente, altrettanti per il percorso opposto. I conti tornano alla perfezione”, annunciò trionfante l’ispettore Wagner. Nemmeno quella mattina, infatti, Kuhn mancò il suo appuntamento con gli studenti.

Così l’ispettore Wagner chiuse l’inchiesta formulando l’accusa di omicidio premeditato. Indovinò a metà. In altre parole, si potrebbe dire che Wagner fallì al cinquanta per cento l’accertamento della realtà investigativa, privando il verdetto finale della sua completezza. Poiché il capo d’imputazione definitivo, sulle labbra di un giudice veramente giusto, avrebbe dovuto essere: “Duplice omicidio”.

Ma in fondo non si trattò di imperizia o superficialità. Solo di sfortuna. O, di involontaria mancanza di tempismo. Se quella mattina, il giorno dopo il delitto, l’ispettore Dirk Wagner fosse arrivato nel cimitero di Malsch anche solo un paio di minuti prima, sicuramente avrebbe potuto sentire herr professor Klaus Kuhn urlare in lacrime, davanti alla tomba della moglie:

Perdonami, Ingrid! Non ti volevo ammazzare. Tutto ciò che desideravo era essere l’unico ad amarti. E quell’altro, come si chiama, quel Bodowin, che razza di nome!, ebbene ora il suo cuore non potrà più battere per te: ha pagato per ciò che ha osato fare…Non è una questione filosofica: non ti doveva baciare sotto l’oleandro, il nostro oleandro. Punto e basta! Però anche tu, mia Ingrid, anche tu, mia adorata: potevi stare un po’ più attenta e non tradirmi!”.

La confessione che l’ispettore Wagner mai sentì durò due minuti appena. Lo scatto delle manette intorno ai polsi di herr professor risuonò per l’intero cimitero alle 12 in punto, mentre qualcuno – alle spalle di entrambi, Kuhn e Wagner – richiudeva i cancelli. Il delitto di Ingrid Engels rimase un caso insoluto.

                                                     Gianluigi Schiavon