Le nostalgie italiane del detenuto Joe Minnesota

       Joe Minnesota Filippetti _ solo Joe, per gli amici _ stese con garbo il quotidiano sul tavolone della biblioteca di Pelican Bay, carcere di massima sicurezza a Crescent City, California. Il detenuto modello Joe si sentiva, in effetti, un po’ emozionato: quella copia di “Fatti Nostri”, arrivata dall’Italia chissà come e scivolata […]

 

 

  

Joe Minnesota Filippetti _ solo Joe, per gli amici _ stese con garbo il quotidiano sul tavolone della biblioteca di Pelican Bay, carcere di massima sicurezza a Crescent City, California. Il detenuto modello Joe si sentiva, in effetti, un po’ emozionato: quella copia di “Fatti Nostri”, arrivata dall’Italia chissà come e scivolata dietro le sbarre del suo momentaneamente ristretto panorama americano, era un regalo inaspettato. Anche i duri sanno cos’è la tristezza e, gli venisse un colpo, non doveva certo vergognarsi di provare nostalgia per il proprio Paese. L’italoamericano Joe Minnesota _ non dimenticate mai questo soprannome, se siete tra i suoi nemici _ era dentro da 20 anni per rapina a mano armata, aggressione a tre poliziotti, scambio di persona e truffa pluriaggravata perché una volta si era finto cieco e invalido al 90 per cento e in America certe buffonate non te le perdonano. Era a tre quarti della pena. Aveva tempo per leggere.

La prima notizia che arrivò dal suo Paese lo lasciò incredulo. Il Papa si era dimesso! Sì, aveva sentito dire qualcosa del genere in giro ma, gli venissero due colpi, leggerla nero su bianco faceva un altro effetto. Sua Santità _ di cui Joe Minnesota nato Filippetti era ardente devoto _ aveva fatto l’annuncio in latino, nascoste tra le righe si intuivano stanchezza e critica verso inestinguibili lotte di potere, ma il senso del discorso sarebbe stato comunque chiaro anche a un bovaro del Midwest: I quit, that’s all, folks!

Sante parole _ pensò Joe _ , dovrei fare come lui, con rispetto parlando: andarmene. Girò pagina. In un articolo a due colonne, da Caltanissetta, si raccontava dell’incredibile scarcerazione di Matteo Giacomo Riina Corleone, boss delle tre Sicilie e non solo. Errore giudiziario, diceva il titolo. Svarione del giudice, spiegava il cronista: insomma, il magistrato incaricato non aveva depositato per tempo le motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo e don Matteo Giacomo era di nuovo uccel di bosco. I quit, that’s all, folks.

Certe fortune capitano solo in Italia, si rammaricò un poco Joe. E girò pagina. Il resoconto dell’ultima maxi-inchiesta che stava sconvolgendo il Paese lo lasciò senza parole: in una sola notte e nell’ambito del medesimo disegno criminoso avevano arrestato quattro banchieri, il presidente di una società di beneficenza, il fondatore di un ospedale per bambini, tre generali già pluridecorati per atti di eroismo in Afghanistan e Iraq, le rispettive mogli e un uomo che fino a ieri veniva soprannominato il Santo per il suo impegno decennale nei confronti di poveri ed emarginati. Tutti, a vario titolo, erano accusati di corruzione, appropriazione indebita, falso ideologico e aggiotaggio, ma erano già stati scarcerati in mattinata per mancanza di prove. We quit, that’s all, folks.

Joe Minnesota per i nemici, Joe se potete vantarvi di essere suo amico, solo Filippetti se lo conoscete da quando era bambino, si stropicciò gli occhi. Ah, l’Italia _ sospirò _ e gli sfuggì una lacrima, non solo di nostalgia. Ma fu l’ultima notizia che lesse in fondo alle cronache a essere decisiva. Diceva che era stato da poco scoperto un finto cieco nonché falso invalido al 100 per cento che da quarant’anni percepiva congruo assegno statale più indennità di accompagnamento. Ora l’avevano beccato mentre giocava a poker in una bisca clandestina male illuminata, ma restava ben poco altro da fare. L’uomo risultava ormai troppo vecchio per andare in galera e quanto alla restituzione del malversato l’operazione appariva improbabile: il soggetto risultava nullatenente e insolvente, essendo oberato di debiti di gioco.

Joe Minnesota, detto Joe Minnesota non ancora per molto, chiuse il giornale. Restò un attimo a occhi chiusi, poi si fece il segno della croce e si alzò.

La mattina dopo non lo videro più in giro: era evaso. Si ipotizzò che fosse tornato in Italia adottando la semplice identità di Giovanni Filippetti. Intuizione giusta: lo cercarono a lungo. Ma non lo trovarono mai. D’altra parte, l’unico indizio lasciato a disposizione apparve da subito enigmatico ai detective americani. Era un biglietto scritto a mano e lasciato in bella vista sul tavolo della biblioteca del carcere di massima sicurezza Pelican Bay, Crescent City, California. Diceva solo:

                                                         I quit, that’s all, folks!