All’inizio di una difficile giornata invernale, il tizio entra al galoppo, come un bufalo inferocito, nella palestra del quartiere, ignaro del fatto che l’apparenza, spesso, inganna.

Ha lo sguardo cattivo, spalle grosse commisurate alle mani, tozze e callose, corporatura tarchiata, all’altezza dello stile personale, labbro fremente e più di un diavolo per capello: qualcuno, là fuori, ha parcheggiato davanti al suo passo carraio. All’entrata della palestra gli hanno detto che è stato l’Avvocato.

Il tizio, piombato fra bilancieri, spalliere e manubri, si piazza al centro del mondo sportivo e sbraita: «Dov’è l’Avvocato?». Nessuno risponde. Questo non contribuisce alla sua serenità.

Il bufalo carica dunque un tipo dall’aria inoffensiva almeno quanto la canottiera che espone, gli punta contro il dito e intima: «È lei l’Avvocato!». L’altro si indica il petto e trova solo il coraggio di dire: «Io faccio il ragioniere». Effettivamente l’apparenza può confondere.

La risposta, comunque, accelera i battiti del cuore imbizzarrito di quell’uomo, che ora s’avventa contro un altro ginnasta impegnato ad aver ragione di una gracile complessione (la scelta degli interlocutori non appare casuale).

«Allora, l’Avvocato è lei?», l’apostrofa, prendendolo per un braccio.

«No, no — si schermisce quello, temendo il peggio — Non sono neanche laureato». Il bufalo cambia ancora bersaglio e stavolta aggredisce una ragazzina tutta occhiali e coda di cavallo. «Eccola, dunque, l’Avvocato!».

«No», sussurra la poveretta e sta per scoppiare in lacrime.

È a questo punto che, dal tavolo all’entrata, interviene il titolare della palestra per ragguagliare, con enigmatico sorriso, il visitatore furioso: «Gentile signore, quello che lei cerca è lì, più avanti, oltre la colonna».

E, finalmente, l’Avvocato compare. Sbuca con passo lento da dietro l’angolo: è alto un metro e ottanta, peso stimabile a occhio 115 chili, visibile sulla tempia destra un tatuaggio alla Tyson, incisi su entrambi i bicipiti altri ghirigori neri. Di mestiere fa il pugile, ma lo chiamano l’Avvocato per via di certi trascorsi legali, quando costrinse la giustizia a fare i conti con lui. Il bufalo ora balbetta solo: «Passo carraio…». Il colosso non apre bocca, seminudo e grondante sudore prende la porta, esce all’aperto con 5 gradi sotto zero, rientra. «Fatto». E torna sul ring. E l’altro: «Mille grazie, Avvocato. Non doveva disturbarsi, Avvocato…».

Così il tizio se ne va al galoppo, ora conscio del fatto che l’apparenza, certe volte, non inganna.

(Tratto da “Colpi bassi” di Gianluigi Schiavon, Giraldi Editore)