Il giostraio di Porto (A tutte le donne chiedeva: “Vuoi fare un giro?”)

Il giostraio Cȃndido Oliveira, nel giungere a Porto, cuore antico del Portogallo, scelse, come luogo idoneo a collocare la sua seconda ragione di vita, l’ampio piazzale sotto il monumentale ponte in ferro Dom Luìs I, sul fiume Douro. Per far questo, Oliveira aveva buoni motivi. Innanzitutto trovava che in quel posto la giostra ben si […]

Il giostraio Cȃndido Oliveira, nel giungere a Porto, cuore antico del Portogallo, scelse, come luogo idoneo a collocare la sua seconda ragione di vita, l’ampio piazzale sotto il monumentale ponte in ferro Dom Luìs I, sul fiume Douro. Per far questo, Oliveira aveva buoni motivi.

Innanzitutto trovava che in quel posto la giostra ben si armonizzasse con l’elegante struttura del ponte progettato da Gustave Eiffel, quello della Torre di Parigi, e non stonasse affatto la differenza di dimensioni quanto invece prevalesse l’assonanza metallica del materiale usato nell’uno e nell’altro caso. In secondo luogo sulla riva opposta, quella sinistra, velocemente raggiungibile a piedi attraverso il Dom Luìs I, stavano allineate e invitanti, una appresso all’altra, le migliori cantine della città, e probabilmente dell’intero Portogallo. Terzo, e certo non ultimo motivo, in quel punto della riva destra, dove danzavano instancabili i cavalli della giostra di Oliveira, spesso passavano turiste sole, quasi sempre reduci da inebrianti visite alle distillerie dell’altra sponda. A ognuna di loro, nel vederla arrivare, il giostraio Cȃndido Oliveira rivolgeva sempre e senza eccezioni la stessa domanda: “Vuoi fare un giro?”. Ed era quell’offerta, invero, la sua prima vera ragione di vita.

A Honorita dos Reis Carvalho, moglie di Cȃndido Oliveira, la faccenda – per evidenti motivi – non piaceva affatto. Anche se aveva promesso a se stessa che avrebbe resistito fin dove possibile. Pure la sistemazione della roulotte che fungeva loro da tetto coniugale destava in lei ragionevoli sospetti: così lontano dalla giostra, verso la foce, vicino al Jardim do Passelo Alegre, ad almeno cinque chilometri dal gigantesco ponte voluto da quel matto di Eiffel e scelto da quell’altro matto di mio marito come epicentro di affari non tutti alla luce del sole. Anzi, preferibilmente sotto lo sguardo della luna. Honorita dos Reis Carvalho, che portava nel nome tutto il decoro regale e la tenacia delle querce, aveva giurato a se stessa che se vendetta un giorno si fosse resa necessaria, di sicuro tremenda e indimenticabile sarebbe stata per Cȃndido Oliveira, che nel nome e nei fatti intendeva apparire con l’innocenza dichiarata di un ramoscello d’ulivo.

“Vuoi fare un giro?”, chiedeva con candore il giostraio alla turista di turno. E l’aiutava a salire sul cavallino danzante mentre una musica da carillon ottocentesco accompagnava l’avvio meccanico del movimento circolare dell’impianto. Honorita alla cassa osservava e nulla si lasciava sfuggire, compreso quel sussurrare, pur da lontano incomprensibile, con cui Cȃndido assisteva – alla fine del giro – la discesa dal destriero di cartapesta della turista prescelta, quel parlottare veloce e silenziato, quasi un prendere accordi per un successivo appuntamento serale e un altro tipo di giro. Fin dove possibile – pensava Honorita – resisterò.

Ma non era facile. La collera e il dolore crescevano all’unisono nel cuore di Honorita dos Reis Carvalho, capitata per caso a Porto, la città che nel soprannome di “cidade invicta” portava l’orgoglio di non essere mai stata sconfitta né dai Mori, tanto meno dagli eserciti napoleonici. Qui stavolta qualcuno si farà male, profetizzò un giorno Honorita. E aveva buoni motivi per pensarlo.

Candidamente lontano dalla più remota idea di poter essere sconfitto dalla propria stessa temerarietà, Oliveira continuava inarrestabile con i suoi giri di giostra. Anzi, l’abbrivio iniziale guadagnò velocità e audacia man mano che il tempo passava, sospinto da innata propensione al movimento e, sopra ogni cosa, al tradimento. La giostra della sua vita – si sarebbe potuto dire – era in moto perpetuo e, soprattutto, affollata. Cȃndido Oliveira, prendendo sempre più dimestichezza con i luoghi e le tradizioni degli stessi, prese l’abitudine di non aspettare più le proprie amanti sulla riva destra, ma di andarsele direttamente a cercare sulla sponda di fronte per poi riportarle sulla giostra, spesso di notte, con ciò saldando in una la prima e la seconda delle sue ragioni di vita. Per far questo s’alzava con regolarità alle tre, sotto lo sguardo della luna e lontano da quello di Honorita che a quell’ora dormiva ignara, e usciva dal finestrone sul retro della roulotte, non già dalla porta che avrebbe dispettosamente cigolato disturbando Honorita, la luna e soprattutto lui. Percorsi di buon passo i cinque chilometri che lo separavano dalla felicità, Oliveira attraversava di gran carriera il Dom Luìs I e si infilava nella cantina di Calém & Filho, o da Sandeman, o in quella di Ramos Pinto o anche da Vasconcellos. E qui, individuata la donna della sua vita, o anche solo di quella notte, alzando con lei calici ricolmi del vino famoso in tutto il mondo poiché portava il nome di una sola città, Cȃndido Oliveira brindava alla domanda finale che non poteva evitare: “Vuoi fare un giro?”.

E poi, di nuovo sulla sponda destra, sotto il telone variopinto, era amore vero quello Oliveira ogni volta sentiva e giurava di provare, stretto in un abbraccio da far girar la testa sulla giostra messa in movimento proprio come faceva di giorno, con l’unica accortezza di staccare a quell’ora l’altisonante carillon. Alla fine altro non restava da fare che tornare alla roulotte e – da dove era uscito – rientrare, e finalmente coricarsi dopo essersi assicurato che Honorita, ignara, ancora dormisse.

Ma nella “cidade invicta” qualcuno, per definizione e per forza di cose, prima poi è destinato a essere sconfitto. E va qui aggiunto che quel qualcuno mai e poi mai avrebbe potuto portato il nome di Honorita dos Reis Carvalho. Anche perché – a dispetto delle apparenze – tutte le notti, quando il suo Cȃndido usciva e rientrava, lei non dormiva affatto. Proprio per niente. E quanto a essere ignara, nulla di più lontano dal vero: semplicemente tentava di resistere, fin dove possibile. Ma quel confine un giorno venne raggiunto.

Non pretese giustificazioni, bugie vigliacche, coraggiose confessioni o anche solo inutili giri di parole. Una notte, verso le quattro e tre quarti, Honorita, che nel nome di battesimo conservava il diritto di essere rispettata, aspettò con pazienza pur avendo da tempo superato anche quel limite: dritta come una sentinella dentro la roulotte, si nascose vicino al finestrone sul retro, con dietro la schiena, saldamente serrato da entrambe le mani, un oggetto bislungo e anche, per quanto la luce della luna permettesse di vedere, bitorzoluto. Fu così che quando una testa s’affacciò dall’esterno, seguita da braccia, spalle, sedere e infine gambe, un solo rumore echeggiò per l’intero Jardim do Passelo Alegre. Bam! Quando Honorita dos Reis Carvalho rialzò il mattarello mentre Cȃndido Oliveira si massaggiava la nuca ancora incredulo, lei gli disse solo: “Credevo fosse un ladro”.

E lui non seppe opporre nulla a quell’impressione, perché in effetti di cuori ne aveva rubati a centinaia nella giostra sotto il ponte Dom Luìs I. E poi non ebbe nemmeno il tempo di rifletterci sopra, perché ciò che subito dopo lo ferì profondamente, ancor più della randellata, fu la frase con cui Honorita lo fulminò. Parole che lei scandì ben bene, perché non esistesse pericolo di fraintendimenti o disattenzioni, più di una semplice citazione, molto meno di una concessione all’ironia: “E ora, vatti a fare un giro”. 

                                                  Gianluigi Schiavon

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