Così parlò Politburò (cura omeopatica anti-politichese)

  Chiedetegli come sta sua sorella, vi risponderà: «Serve un’Europa più coesa». Cosa c’entra? Un piffero. Ma lui è fatto così: parla in political-burocratese. Per questo lo chiamano Politburò. E’ una forma estrema di protesta: rispondere a caso per non dire mai niente. Lo fanno i politici — dice — perché non i comuni cittadini? […]

 

Chiedetegli come sta sua sorella, vi risponderà: «Serve un’Europa più coesa». Cosa c’entra? Un piffero. Ma lui è fatto così: parla in political-burocratese. Per questo lo chiamano Politburò.

E’ una forma estrema di protesta: rispondere a caso per non dire mai niente. Lo fanno i politici — dice — perché non i comuni cittadini? Politburò ce l’ha con slogan, proclami, moniti, prese di distanza e per i fondelli. Odia questo tipo di linguaggio, perciò lo adotta: cura omeopatica anti-politichese.

In un certo bar di Bologna, quartiere Saragozza, Politburò tiene comizi-spettacolo. Gli avventori fanno a gara nel rivolgergli domande a raffica. Come va il lavoro? «Non mi farò intimidire». Com’è stata la cena da tua suocera? «Incontro franco e cordiale». E le cose con tua moglie? «Tolleranza zero». Hey, Politburò, dicono che sei un po’ matto… «Inaccettabile provocazione». Risposta alternativa: «Niente resterà impunito». Cosa vuol dire? «Basta con i processi mediatici». E cioè? «Non mi lascerò delegittimare». Chiaro.

Politburò può andare avanti così per ore. Ogni interrogativo ha diritto a una replica perché «altrimenti la democrazia è a rischio». Compresa quella «da esportare». Dove? «Chi sa parli». Sempre? «No, certe volte è l’ora del dolore e del silenzio».

Naturalmente Politburò non sopporta «i vili attacchi», le «volgari speculazioni», i «complotti» e la vasta gamma delle «strumentalizzazioni» anche se, dopotutto, a nessuno vanno mai negate «stima e solidarietà».

Avanti. Politburò, cosa ne pensi del vecchio barista? «Dimissioni subito». E della giovane cameriera? «Santa subito». Ma per realizzare quest’ultimo progetto «serve una riforma». Di che tipo? «Equa». In alternativa? «Un decreto». E se il cappuccino viene servito troppo freddo lui solleva «eccezione di costituzionalità», anche se ammonisce: «Non bisogna mai cedere alla violenza».

Politburò, non ti sembra di esagerare? «Chiedo pubblicamente scusa». Va bene — replica un ultimo avventore — ma a sentirti parlare così uno potrebbe dire che sei solo un qualunquista… Politburò non fa una piega. Anche in questo caso la risposta è collaudata: «Sono stato frainteso».

Tratto da: “Quella faccia l’ho già vista”, di Gianluigi Schiavon, Giraldi Editore  

 

 

 

 

 

 

 

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