Come riconoscere i soldi falsi: a lezione da Tonì

La vil moneta è quella che ti rifilano a tradimento, pur sapendola più falsa di una promessa elettorale. Parola di Tonì, barista partenopeo che di queste cose se ne intende. Nel suo locale in zona Mazzini, Bologna, s’impegna al riguardo in pubblici ammaestramenti. Per sé e, a buon intenditor, anche per i clienti: insomma, conversando da dietro il […]

La vil moneta è quella che ti rifilano a tradimento, pur sapendola più falsa di una promessa elettorale. Parola di Tonì, barista partenopeo che di queste cose se ne intende. Nel suo locale in zona Mazzini, Bologna, s’impegna al riguardo in pubblici ammaestramenti. Per sé e, a buon intenditor, anche per i clienti: insomma, conversando da dietro il bancone, spiega le insidie del denaro fasullo.

Lezione numero 1, teoria: «In giro per la città ci sono più soldi finti che lavavetri».

Lezione 2, altra teoria: «Le banconote false più diffuse sono quelle da 50 e 20 euro, ma ora vanno di moda anche quelle da 5 e perfino alcune monete».

Lezione 3, pratica: «Filigrana a parte, le carte vere da 100 e 50 hanno due caratteristiche fondamentali: di fronte, accanto al numero grande, c’è una barretta che deve risultare ruvida al tatto; sul retro, la cifra in basso a destra è sempre cangiante-fosforescente. In assenza di tutto questo, siete stati fregati. Ancora: le banconote da 20, 10 e 5 hanno sulla destra una striscia argentea con impresso il valore. Se quest’ultimo manca ciò che avete in mano è carta da cioccolatini. Infine, anche le monete da 2 euro possono essere contraffatte: quelle vere hanno una serie di stelline incise sul bordo. Controprova: infilate una moneta ‘liscia’ in una slot-machine: ve la risputerà addosso».

Alla fine del corso accelerato gli studenti-clienti restano con un interrogativo: Tonì si è mai fatto fregare? «Con denaro finto mai — risponde il docente-barista — ma più volte ho prestato soldi veri a falsi amici. E non li ho più rivisti, né gli uni, né gli altri».

Insomma, non si finisce mai di imparare. 

(Tratto da “I bolognesi sono fatti così” di Gianluigi Schiavon, Pendragon Editore) 

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