ADDIO, SALENTO

  Il cane abbandonato a Borgo Tartaglino, club vacanze esclusive, cinque chilometri da Specchia, pieno Salento, aveva un problema: la rabbia. Tanta, contagiosa, incontenibile, su cui rimuginava saltellando da un vialetto all’altro senza trovare pace: rabbia di essere stato mollato lì, da solo, dalla sua padrona, quella furfante, turista annoiata, lei senza anima né cuore […]

 

Il cane abbandonato a Borgo Tartaglino, club vacanze esclusive, cinque chilometri da Specchia, pieno Salento, aveva un problema: la rabbia. Tanta, contagiosa, incontenibile, su cui rimuginava saltellando da un vialetto all’altro senza trovare pace: rabbia di essere stato mollato lì, da solo, dalla sua padrona, quella furfante, turista annoiata, lei senza anima né cuore e lui senza un osso, una cuccia decente, un’ultima carezza, rabbia di essere stato dimenticato, come un pacco, una valigia sfondata, un paio di sandali rotti e quindi inutili, rabbia di essere stato rifiutato, al pari di un amico non cercato e pertanto trascurato, o anche solo ignorato come un soprammobile non più amato, un giocattolo spaccato, una brocca incrinata o, per dire, una gomma bucata, insomma, non è difficile da capire, rabbia di essere stato abbandonato. Come un cane.

Perciò, sfogando il sintomo del proprio malessere, l’animale ripudiato gironzolava per il club vacanze assalendo tutte le signore che avvistava, poiché ai suoi occhi tutte, proprio tutte, sorprendentemente assomigliavano all’ex padrona. Le aspettava con pazienza dietro l’angolo, calcolava la giusta distanza, spiccava il balzo spalancando le fauci e, sgnaffete, in un lampo strappava con metodo il vestito che portavano: lacerazione precisa, all’altezza del bacino, giusto sopra il gluteo sinistro. Faceva attenzione che i denti nemmeno sfiorassero la carne, poiché non era vendetta cruenta quel che cercava, quanto piuttosto dar mostra di un atto simbolico. Ci sapeva fare: straap e il vestito riportava a casa, souvenir non contemplato dalle guide, un bello squarcio, né grande né piccolo, giusto ricordo.

<Oddio, non avrà mica la rabbia!>, chiedevano lumi e conforto le signore aggredite.

<No, per certo, non di quel tipo – assicurava subito l’elegante direttore di Borgo Tartaglino, che di animali avviliti, in tutta sincerità, se ne intendeva poco, ma prediligeva le verità comode – Cioè sì, è pieno di rabbia, ma unicamente quella di essere stato abbandonato>.

<E non lo può cacciare dal nostro club esclusivo?>, insistevano quelle.

<Non ci riesco>, allargava le braccia il distinto direttore.

Va a questo punto precisato che il cane rabbioso, di cui per forza di cose tutti ignoravano il nome, non se la passava poi tanto male nel club vacanze esclusive Borgo Tartaglino. Innanzitutto, in giro c’era un mucchio di ipotetiche ex padrone cui era agevole strappare il vestito. E poi, ulteriore opportunità di sfogare l’incontenibile rabbia, c’era Bluto, il mastino del direttore che, per quanto grosso il doppio della sua taglia da bastardino, possedeva per certo la metà del suo coraggio. E, ripeterlo non è superfluo, della sua rabbia. Bluto aveva in compenso una cuccia comoda, pasti a orari regolari, la ciotola con il nome inciso (BLUTO, in maiuscolo e corsivo), e quel muso da schiaffi da cane beato che nessuno, proprio nessuno, tanto meno il suo distinto padrone, mai e poi mai avrebbe abbandonato. Con BLUTO il cane anonimo si azzuffava volentieri. Gli faceva pagare anche la consapevolezza che pure lui, ai bei tempi, un nome l’aveva avuto, ma se l’era dimenticato a furia di sentirsi chiamare da chiunque, da quelle parti del Salento, cinque chilometri da Specchia, con un semplice e diretto: <Vieni qui, cane!>. Tutti, ma proprio tutti, si rivolgevano a lui in quel modo (tranne certe signore, come sappiamo).

In fondo erano gentili. Ci scappava sempre una carezza, a volte anche due. Ma il problema è che a ogni occasione lui finiva con l’illudersi, giusto un secondo prima che lo abbandonassero come sempre al suo destino. Ce ne fosse stato uno, uno solo, che avesse manifestato l’inequivocabile convincimento di prenderlo con sé. Quando ci pensava, sentiva rimontare la rabbia. E quindi non restava altro da fare che passare all’azione. Sgnaff, straap! E un’altra signora s’allontanava alla ricerca di ago e filo.

La faccenda andò avanti così per un’infinità di tempo, l’intera estate.

Fu solo a metà settembre, infatti, quando le prime piogge tornarono ad abbeverare uliveti e vigneti stremati dal caldo in Salento, che avvenne il miracolo. Fu il direttore ad accorgersene. Era mattino presto e sulle prime attribuì alla nebbia che anticipava l’autunno ciò che intravide in lontananza, in mezzo al parcheggio.

C’era una signora, l’ultima ospite del club che finalmente si era decisa a partire. Con una mano caricava le valigie nel bagagliaio mentre con l’altra…Con l’altra – che diamine, non poté impedirsi di esclamare il signor direttore -, con l’altra reggeva un guinzaglio. E – perdio e per tutti i santi delle vacanze – sì, era proprio lui quello all’estremità del laccio dorato: il cane rabbioso! La signora gli fece pat pat sulla testa, lo invitò <Sali, Melampo!>, e lui le leccò, docile, docile, la mano. Poi saltò su in macchina, lato passeggero. Aveva dunque, inaspettatamente e contro ogni logica del mondo umano e animale, trovato una nuova padrona. E un nome. Finito il tempo della rabbia.

Il direttore aguzzò lo sguardo e seguì il movimento della turista mentre si sistemava alla guida. Fu così che notò – impossibile non accorgersene – lo strappo sul vestito: proprio all’altezza del bacino, giusto sopra il gluteo sinistro, preciso, misurato, né piccolo, né grande. Sicuramente una cautela preventiva, un ultimo atto dimostrativo di Melampo. Diciamo un avvertimento, nel caso alla signora venisse mai in mente di abbandonarlo. In Salento o da qualunque altra parte.