Adesso anche i cardinali twittano. Il loro è un cinquettio evangelico nell’autostrada della Rete, intasata da ben altri suoni e spazzature. A Gianfranco Ravasi, ministro vaticano della Cultura, bastano 140 battute per portare micro-omelie sugli schermi degli internauti. Gli stessi che a fatica distinguono Nuovo e Vecchio Testamento, mentre navigano a meraviglia tra social network e sharing community

Il padre delle prediche virtuali si chiama Hervè Giraud. Noto in Francia, perché di ‘lavoro’ fa il vescovo di Soissons, il prelato ha convinto tutti nelle sacre stanze. Ravasi in testa e perfino l’austero Osservatore romano che in Twitter scorge <un aiuto per far conoscere il Vangelo>. Soprattutto tra i giovani, i più a disagio con la Parola di Dio.

Dieci anni fa Giovanni Paolo II inviò la prima email nella storia pontificia. Ricordo ancora il dito tremolante del papa malato sulla tastiera del portatile. Dalla posta elettronica a Twitter, la Chiesa non perde il treno della comunicazione globale, anche se sono ancora troppo pochi i preti e i vescovi con un profilo in Facebook.

Ogni occasione è buona per l’evangelizzazione. Qualsiasi mezzo giustifica il fine, sempre che  il destinatario sia libero anche di cestinare o ribattere al predicatore. Laico, prete, vescovo o cardinale che sia. Nella democrazia di internet si può, nelle navate centrali delle nostre chiese rinascimentali è un lusso ancora impossibile.

Giovanni Panettiere