TRADISCE una certa apprensione la lettera del prefetto della Congregazione per il clero, cardinale Mauro Piacenza, sull’applicazione del Concilio ecumenico Vaticano II. Nel cinquantesimo anniversario dall’apertura dell’assise, che, per dirla con il suo propugnatore, Giovanni XXIII, ha ‘aggiornato’ la vita ecclesiale, il porporato scrive ai preti per spronarli alla diffusione della conoscenza del Catechismo della Chiesa cattolica come <miglior modo> per <attuare gli insegnamenti conciliari>.

Promulgato vent’anni fa da Giovanni Paolo II, il Catechismo ricapitola l’intero magistero del popolo di Dio, con l’intento dichiarato di porsi nel solco tracciato dal Vaticano II, così come, qualche tempo prima, avevano fatto gli estensori del Codex iuris canonici (1983), chiamati a tradurre nel sermo canonistico i princìpi conciliari. Non vi è dubbio che sussista un filo rosso tra il Catechismo e la lezione, ormai dimenticata, dell’ultima assemblea episcopale della Chiesa universale. Qualche perplessità si avanza sul fatto che sia la via migliore per attuarla.

Sul punto il contesto in cui ha visto la luce il Catechismo non può essere bypassato. Erano gli anni del regno di Wojtyla in cui il Palazzo apostolico stava intensificando un’interpretazione letterale e stringente del Concilio anche come stella polare per il rilancio del diritto canonico, prima, e della catechesi, poi.  Gli entusiasmi e gli eccessi del post Vaticano II avevano scosso nelle fondamenta le mura leonine. Montava l’urgenza, attraverso il varo di una mole significativa di atti magisteriali, di applicare, senza scossoni o fughe in avanti, gli insegnamenti conciliari. Gli stessi spesso frutto di un forzato equilibrio, ricercato e voluto da Paolo VI, tra una maggioranza episcopale sensibile al cambiamento e una minoranza – nelle cui file sedeva anche il giovane arcivescovo di Cracovia, Wojtyla – ostile alle novità.

Viene da lontano la lettera del cardinale Piacenza… La missiva segue di qualche giorno l’invito di Benedetto XVI (Udienza generale, 10 ottobre 2012) a tornare ai documenti del Concilio, <liberandoli da una massa di pubblicazioni che spesso, invece di farli conoscere, li ha nascosti>. Il rimando implicito è ai volumi accademici – come quelli della Scuola di Bologna -, in frizione con l’ermeneutica della continuità, promossa dal pontefice per comprendere la giusta collocazione del Vaticano II nella storia della Chiesa. Dice bene Ratzinger: in primo luogo, dobbiamo riprendere in mano le costituzioni, i decreti e le dichiarazioni per capire che cosa dice il Concilio. E, aggiungiamo noi, per attuarlo davvero. Senza lacci e paure, riaccendo la fiamma di uno spirito lungo cinquant’anni. Quando  ancora il mondo, anche quello laico, guardava alla Chiesa con un interesse e una speranza che oggi ricordiamo con nostalgia.

Giovanni Panettiere

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