Lefebvriani in altalena

GIOCANO sul filo dell’ambiguità i lefebvriani nel tormentato confronto con la Santa Sede. Ritardano l’invio della risposta ufficiale al preambolo dottrinale, scritto da Roma per ricucire lo scisma, e nel frattempo pubblicano una dichiarazione interna sul possibile superamento della frattura. Il tutto mentre si susseguono indiscrezioni su un imminente no dei tradizionalisti alla mano tesa da Benedetto XVI.  La […]

GIOCANO sul filo dell’ambiguità i lefebvriani nel tormentato confronto con la Santa Sede. Ritardano l’invio della risposta ufficiale al preambolo dottrinale, scritto da Roma per ricucire lo scisma, e nel frattempo pubblicano una dichiarazione interna sul possibile superamento della frattura. Il tutto mentre si susseguono indiscrezioni su un imminente no dei tradizionalisti alla mano tesa da Benedetto XVI.  La sensazione è che a Econe intorbidiscono le acque per bloccare la trattativa, senza assumersi la responsabilità del naufragio. Risultato della strategia? I nervi a fior di pelle in Santa Sede, dove sollecitano un verdetto chiaro e inequivocabile dei lefebvriani sull’opportunità di chiudere positivamente lo scontro.

SOLO un paio di mesi fa la pace era dietro l’angolo, oggi il disegno del Papa di una prelatura personale per la Fraternità, in cambio della sottoscrizione del preambolo sul rispetto del Vaticano II, sembra destinato a restare lettera morta. Come nel 2009, anno di avvio del confronto teologico fra le parti, i tradizionalisti non ne vogliono sapere di accogliere il Concilio. Troppo indigesta l’amicizia con gli ebrei, insopportabile la libertà religiosa, assurdo il rilancio del dialogo ecumenico. Per la destra cristiana vale solo il rilancio della Tradizione per arginare la modernità, diffusa nella società quanto nella Chiesa. Ma c’è dell’altro. A spingere verso lo strappo contribuisce anche la nomina della nuova dirigenza di Ecclesia Dei, la commissione vaticana posta sotto il controllo dell’Ex Sant’Uffizio e incaricata di porre fine allo scisma datato 1988. Ai tradizionalisti non piacciono il neopresidente monsignor Gerhard Müller (<E’ un eretico che, in altri tempi, sarebbe stato condannato dall’Ex Sant’Uffizio che ora dirige>) e il segretario, Joseph Augustine Di Noia, ritenuto troppo in sintonia con il popolo ebraico. Il secondo fa spallucce, il primo non incassa. <Non sono tenuto a replicare a tutte le sciocchezze>, è la controffensiva di Müller, considerato sensibile alla Teologia della liberazione.

IN VERITÀ, tra i quattro vescovi lefebvriani, il superiore generale, Bernard Fellay, sarebbe pronto al rientro nella Chiesa cattolica. Lo sanno anche i suoi confratelli, più volte tentati dal defenestrarlo. Alla fine, però, anche Fellay si è rimesso alla volontà della maggioranza, uscita dal capitolo generale della scorsa settimana: meglio prorogare lo scisma piuttosto che minare l’unione della Fraternità. D’altronde Papa Benedetto XVI nella sua proposta è stato limpido: accordo sì, ma solo con le colombe, per i falchi trattative autonome, senza un calendario preciso.

COSA succederà ora è tutto da vedere. Sarà fondamentale capire se la Chiesa vorrà portare ai tempi supplementari la partita, come in fondo è nei desiderata dei lefebvriani, oppure protenderà per il fischio finale. Ratzinger punta a ricucire lo strappo, non ne ha mai fatto mistero. Con tenacia e nonostante le critiche all’interno del popolo di Dio, nei suoi primi sette anni di regno, il Papa ha inanellato una serie di concessioni ai tradizionalisti: prima la liberalizzazione della messa tridentina, poi la revoca della scomunica ai vescovi scismatici (compreso il negazionista Richard Williamson), da ultimo il confronto dottrinale. Francamente non si capisce cosa altro possa fare per soddisfare i tradizionalisti.

DIRE che la ricezione del Vaticano II è facoltativa? Sarebbe un precedente infausto nella storia ecclesiale, perché le decisioni del Concilio, oltre ad essere l’architrave della Chiesa contemporanea, sono le uniche collegiali da centocinquant’anni a questa parte. Il resto è solo produzione della monarchia pontificia o dei dicasteri al suo servizio. Eppure è questa l’unica, vera condizione imposta dalla Fraternità per il ritorno a Roma. Un po’ troppo da parte di chi ha ricevuto tanto, senza muoversi di un millimetro. Si vociferava che Williamson sarebbe stato scomunicato da Fellay. Niente di più falso. Il vescovo inglese non è stato invitato al capitolo genereale, è vero, ma resta a tutti gli effetti un pastore della Chiesa parallela fondata da monsignor Marcel Lefebvre.

Giovanni Panettiere

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