CHI SCOMMETTE sulla pace tra la Chiesa cattolica e i lefebvriani ha soldi da spendere. Fino allo scorso anno il rientro dello scisma sembrava ancora a portata di mano, negli ultimi giorni, dopo ‘il triplo salto mortale’ dei tradizionalisti, le distanze sono tornate abissali. Prima i funerali di Erich Priebke, celebrati nella chiesa della Fraternità San Pio X ad Albano, in controtendenza rispetto al divieto del Vicariato di Roma, poi l’affondo del superiore Bernard Fellay contro papa Francesco, infine le critiche alla canonizzazione dei beati Angelo Roncalli e Karol Wojtyla.

IL PONTIFICATO argentino – si legge in una nota del portavoce dei lefebvriani, l’abate Alain Loransè segnato da <un silenzio completo sui gravi interrogativi> sollevati su papa Giovanni XXIII e ancor più su Giovanni Paolo II. Il primo è accusato dalla destra cristiana di <modernismo> e <atteggiamenti liberali>, il secondo di aver <elevato il Corano al rango di Parola di Dio>, di essere stato in una sinagoga e di aver assistito alla lettura delle Sacre scritture davanti a una donna <a seni nudi> durante il viaggio in Papua Nuova Guinea (1995). Liquidati due giganti della Chiesa del secondo ‘900, il comunicato di Econe prosegue con una critica piccata alle <comunicazioni in tutte le direzioni> di Bergoglio (lettere, telefonate, interviste). Alcune dichiarazioni del pontefice <sembrano brecce aperte nel dogma e nella morale cattolica>. Nel mirino dei tradizionalisti finiscono così le frasi sull’omosessualità, sui divorziati risposati e <l’esaltazione della coscienza individuale>.

SOLO qualche giorno fa, con una tempistica perfetta, sfruttando l’eco dei mass-media concentrati sulle esequie dell’ex capitano Ss, il sito Catholic family news, molto vicino ai tradizionalisti, pubblicava il testo di un intervento di Fellay durante una conferenza a Kansas city, svoltasi quasi una settimana prima. Per quella che era considerata una colomba, almeno ad aprile 2012, quando la Santa sede consegnò alla Fraternità un’ultima bozza d’accordo per il rientro nel popolo di Dio (si prevedeva la sostanziale accettazione del Vaticano II), oggi la situazione della Chiesa cattolica <è un vero e proprio disastro>. E il papa attuale <sta rendendo 10mila volte peggio>.

NON TUTTI i pontefici sono uguali, l’hanno capito anche i lefebvriani, di certo nonsostenitori della continuità a tutti i costi sul soglio di Pietro. Almeno con Benedetto XVI avevano incassato il motu proprio Summorum pontificum (2007), che ha liberalizzato la messa tridentina, la ripartenza, due anni più tardi, dei colloqui dottrinali e soprattutto la revoca della scomunica ai loro quattro vescovi, compreso il negazionista Richard Williamson. Con Francesco la musica è cambiata. Vuoi perché il vescovo di Roma ha assunto come bussola del suo ministero l’indigesto Vaticano II, non senza lesinare critiche alla ricezione del Concilio sotto i suoi immediati predecessori (vedesi l’intervista a Eugenio Scalfari); vuoi perché Bergoglio, pur stigmatizzando <la tentazione di un certo progressismo adolescenziale> (Messa a Santa Marta, 13 giugno 2013), non si stanca mai di ripetere: <Preferisco mille volte una Chiesa incidentata piuttosto che malata per chiusura> (Veglia di preghiera con i movimenti ecclesiali, 18 maggio 2013; Incontro con i catechIsti, 27 settembre 2013). A Econe, dove la tradizione e il sacro sono considerati gli unici antidoti efficaci per fronteggiare il veleno del modernismo, che, finito il Vaticano II, si sarebbe impadronito del popolo di Dio, avrebbero voluto sentire ben altri sermoni.

PER COGLIERE le prospettive del confronto cattolici-lefebvriani vanno analizzate anche le mosse del papa in Curia romana. A cominciare dalla decisione di confermare come prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, monsignor Gerhard Ludwig. Müller. Accusato dalla Fraternità di <essere un eretico> per le sua simpatie verso la Teologia della liberazione, l’arcivescovo, da luglio 2012 sul seggio che è stato di Ratzinger, non si è mai sentito in dovere di silenziare certe affermazioni. Anzi, proprio di recente ha dato alle stampe il libro Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa, realizzato a quattro mani con Gustavo Gutierrez, il padre della Tdl. Sempre Müller, spazientito di fronte al tira e molla dei tradizionalisti sull’accettazione o meno della bozza d’accordo con Roma, in un’intervista ormai storica alla radio tedesca Norddeutscher Rundfunk, fece la voce grossa, lasciando il segno sulla direttrice Roma-Econe: <La Fraternità non è un partner di trattativa, perché sulla fede non ci sono trattative. Non ci possono essere riduzioni della fede cattolica, tanto più se formulata validamente dal Concilio Vaticano II> (13 ottobre 2012).

RESTA Müller e contemporaneamente lascia Augustin Di Noia. Bergoglio ha spostato il domenicano dall’ufficio di vice presidente della Pontificia commissione Ecclesia Dei, l’organismo istituito per il dialogo con i tradizionalisti, a quello di segretario aggiunto all’ex Sant’Uffizio. Senz’altro questa è la mossa meno gradita alla Fraternità per due motivi. In primis, l’americano, nominato da poco più di un anno, nei fatti era diventato il vero interlocutore degli scismatici che ne avevano apprezzato lo zelo. La cronaca racconta che è stato Di Noia a vergare (28 ottobre 2012) una dichiarazione piuttosto accomodante con i lefebvriani, che colsero positivamente lo stile diverso rispetto a Müller, evidente anche in una lettera successiva, datata stavolta gennaio 2013 e frutto di un’iniziativa personale del domenicano. Nel testo, in cui si accennava appena a certe affermazioni piuttosto ruvide provenienti da Econe sul Concilio e non solo, Di Noia manifestava <il forte desiderio di superare le tensioni esistenti>, ricordando ai tradizionalisti che <il Papa vi attende> e <il vostro futuro è nell’unità della Chiesa>.

MA C’È anche un secondo motivo di preoccupazione per i lefebvriani dopo lo spostamento del religioso a stelle e strisce. In Ecclesia Dei è tornato – era stato qualche mese elemosiniere di Sua santità – monsignor Guido Pozzo, chiamato a ricoprire la carica di segretario che aveva già assunto dal 2009 al 2012. Sulla competenza dell’italiano i tradizionalisti hanno poco da recriminare, dato anche i successi raccolti proprio in quel triennio. A questo punto, però, rimane vuota la sedie di vice presidente della Commissione, a dimostrazione, da un lato, di un certo ridimensionamento del ruolo dell’organismo, dall’altro, della chiara volontà del papa di rafforzare il ministero di Müller che, in qualità di numero uno di Doctrina fidei, è automaticamente vertice di Ecclesia Dei, d’ora in avanti senza più un alter ego come l’ex vice presidente Di Noia.

NEL FEBBRAIO scorso era attesa, dopo un primo rifiuto, la risposta definitiva dei lefebvriani alla bozza di accordo stilata da Roma. Le dimissioni di Benedetto XVI hanno congelato la pratica, ma a vedere dai segnali  in arrivo da Econe c’è poco d’attendersi.  Anzi, sembra quasi irrealistico parlare, allo status quo, di un dialogo e di una trattativa in corso. D’altra parte Francesco non ha intenzioni di fare ulteriori concessioni alla Fraternità, né di pietire un ritorno evidentemente ancora troppo acerbo. La ricomposizione di uno scisma lungo venticinque anni può procedere con il giusto discernimento, l’attuazione del Concilio (1962-1965) ha bisogno di una forte accelerazione.

Giovanni Panettiere

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